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Tempi Dispari

La musica della porta accanto

L’underground deve perdere la verginità

L’underground deve perdere la propria verginità. E si, se vogliamo crescere, dobbiamo fare questo salto qualitativo. Basta vivere di onanistico compiacimento. È il momento di prendere coscienza di noi stessi e aprirci al mondo. In che senso? Nel senso che è giunto il momento di smetterla di considerarsi come realtà avulsa dal contesto, come nicchia di super appassionati, come detentori della ‘vera’ musica mentre il resto fa schifo.

Esiste un mondo al di là di noi del quale, che ci piaccia o no, facciamo parte e col quale dobbiamo fare i conti. Un mondo che non è sempre e per forza brutto, cattivo, fatto si persone che non capiscono nulla. Che poi il non capire nulla noi lo riferiamo al nostro contesto. Il mainstream non capisce nulla perché dà spazio a chi non lo merita, perché porta avanti burattini creati solo per vendere. Perché chi arriva a certi livelli deve per forza scendere a compromessi.

Noi invece, duri e puri detentori della sacra verità, non ci facciamo invischiare in questi giochetti. Noi rimaniamo fedeli a noi stessi, non ci facciamo abbindolare da stupidi miraggi. Ed è proprio questa sbandierata ‘purezza’ che ci sta logorando. Come si suol dire, ce la cantiamo e ce la suoniamo. Lamentandoci poi che nessuno ci ascolta. Una sana autocritica sarebbe d’obbligo. Quello che c’è oltre i confini del nostro mondo non è necessariamente sbagliato o è il male. Certo, cambiano i principi. Il mainstream vive sul guadagno più che sulla qualità. Noi invece abbiamo la qualità, ne abbiamo a bizzeffe di qualità, ma non la sappiamo valorizzare.

È un po’ come il discorso: l’Italia potrebbe vivere di turismo ma non riesce perché non lo valorizza a sufficienza. Mentre paesi che hanno molto ma molto meno, riescono a rivendere alla grande quel poco che hanno. Come se ne esce? Imparando. Prendiamo ciò che di buono ha da offrire l’universo fuori dai nostri confini e interiorizziamolo, adattiamo alle nostre esigenze. Prediamo atto e coscienza di essere un’entità di pari dignità di qualsiasi altra.

Moltissime realtà che agiscono nell’underground lo fanno in modo professionale. Le band, anche quelle che si autoproducono, sfornano dei lavori di altissimo livello. Gli organizzatori di concerti, non mettono su un palco quattro amplificatori a caso, una batteria microfonata alla meno peggio e via. No, fanno tutto al meglio delle proprie possibilità. Come farebbe un organizzatore di eventi mainstream. Tutti lo fanno guidati dalla passione, ma nessuno lo fa in maniera gratuita. I concerti, si pagano, i dischi si pagano, il merch delle band si paga. Perché, quindi, dover offrire a queste persone dei servizi approssimativi?

Soprattutto, perché continuare ad essere autoreferenziali quando lo scopo ultimo del supporto al nostro mondo è il farlo conoscere? E non lo dobbiamo far conoscere a chi lo vive già. Dobbiamo farlo conoscere fuori confine, oltre i nostri limiti autocostituiti. Il ‘chi mi ama mi segue’ non vale. Non può più essere applicato. Nessuno ha un nome tale per cui può vivere di rendita. Questo è un altro forte limite di tantissime realtà divulgative. Il crogiolarsi sugli allori perché ‘tanto sono arrivato, sono un nome, ho decine di migliaia di persone che mi seguono’. Forse sfugge che il mondo cambia.

Che le cose non restano sempre le stesse. Che è inutile cercare di rimanere ancorati a certi stilemi perché ‘hanno sempre funzionato’. Certo, i cambiamenti sono difficili. Soprattutto è difficile prendere atto dei propri limiti e del fatto che forse è il caso di ampliare i propri orizzonti e fare i conti con il tempo che è passato. Più difficile ancora è riuscire a capire come ci deve aggiornare e come rimanere al passo con i cambiamenti. Eppure è necessario. Se non si prende coscienza di noi stessi, del fatto che siamo una realtà culturale effettiva che vive al di là di tutto e tutti, non si andrà lontano.

Non si può sempre e solo contare sulla passione. Questa va sviluppata. È come se un chitarrista potenzialmente super talentuoso non si allenasse mai. Il talento va sviluppato. È un dono, non un miracolo. Non si suona benissimo per magia. Si suona benissimo perché ci si è allenati, e parecchio, sviluppando quel talento. Noi, che siamo potenzialmente super talentuosi, se non ci alleniamo a farci conoscere nella maniera adeguata, parlando anche in modo diverso, siamo destinati ad una pessima fine.

E non è ‘colpa’ di chi non ci ascolta, di chi non capisce niente di musica, delle cover band, di Sanremo, dei talent, di internet o della tv. È solo colpa nostra. Il mondo cambia, cambiamo con il mondo. Apriamo i nostri confini, facciamoci conoscere. E il solo modo è parlare con le persone. Ciò cui siamo ancora drammaticamente ancorati, senza vedere che le gambe di argilla stanno crollando, è la verticalità del nostro supporto.

Caliamo dall’alto la nostra conoscenza come verità assoluta cui le persone devono attenersi per il semplice fatto che lo abbiamo detto noi. Ma non funziona più. Il dialogo, per propria natura, è e deve essere orizzontale, alla pari. Nessuno deve sentirsi detentore di verità assoluta o migliore di qualcun altro. Senza scambio non c’è crescita e se non si cresce si muore. E noi non vogliamo morire senza combattere fino all’ultima forza, all’ultima goccia di sangue. Le rivoluzioni nascono dai sogni dei folli. Diventiamo quei folli.

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