New disorder

Tra le tante, ho una debolezza per la musica che mischia generi e stili diversi. Se poi le contrapposizioni sono forti, meglio ancora. Insomma nessuna mezza misura. Perfettamente in questa direzione vanno i New Disorder. Già quando mi era capitato di vederli dal vivo a Roma nel 2014 mi avevano colpito. Con il loro ultimo lavoro sulla lunga distanza effettuato in studio, non hanno fatto altro che confermare le sensazioni iniziali. Anzi. Sono riusciti anche ad andare molto oltre.

Un sound maturo, energico, privo di punti deboli di qualsivoglia genere. Produzione più che adeguata che mantiene inalterata la potenza e la pulizia della band. Tra quel concerto nella Capitale e questo Mind Pollution sono trascorsi 5 anni. Tempo che ha visto la band tuttaltro che con le mani in mano. La definizione di uno stile identificabile è migliorata. Così come padronanza tecnica e del mezzo scelto per esprimersi. Il combo si pone nel solco del metal alternativo. Come sempre le etichette lasciano il tempo che trovano avendo i nostri variegate influenze.

Ma andiamo con ordine.

Il lavoro in questione apre con Riot. Suoni di synth introducono le tastiere su cui si poggiano delle voci campionate. Ancora elettronica con l’ingresso della voce, melodica. Quando ci si sta per ‘abituare, stop e ingresso a gamba tesa delle chitarre. Con un riff al fulmicotone cambiano completamente la prospettiva. La canzone si incattivisce, pur rimanendo molto melodica. La voce di Francesco Lattes fa un ottimo lavoro con le melodie.

Subito dopo il ritornello l’intensità si abbassa per poi riprendere a pieno ritmo sulla nuova strofa. La base è composta da chitarre iterata che si muovo su binari separati, batteria senza troppi fronzoli, suoni di synth che mai si zittiscono. Ottima la sovrapposizione di voce pulita e in scream che anticipa il ritornello e su questo si fondono. Il solo è perfettamente bilanciato. Lento, evocativo. Il break seguente vede una voce molto incattivita. In contrasto con il passaggio successivo che la vede protagonista assoluta prima del riemergere del ritmo pieno.

Ancora synth ma più ritmati, aprono la successiva News from hell. Questa è caratterizzata da un riffing intenso, incalzante, che non lascia respiro. Uno di quei riff che sanno di potenza ed elettricità. Note iterate che si alternano tra palm muting e corde libere. Ottimo utilizzo dei cori che enfatizzano il contesto. Pur rimanendo sostenuto, il ritmo è molto ‘narrativo’. I cambi non arrestano mai. Le due chitarra sono inarrestabili snocciolando riff su riff su coordinate separate. A metà drastico mutamento di passo.

Si rallenta prima di un breve break di sola voce. Il ritmo resta cadenzato con le sei corde separate. L’ingresso del solo è perfetto. Note lunge, taglienti prima del finale veloce. Il ritornello riporta la velocità a pieno ritmo prima dell’accelerazione finale. I stynth decretano la chiusura del pezzo. Ancora elettronica per La title track. Mind pollution apre su suoni sintetici. Le chitarre, con ritmica spezzata, si affiancano a creare un sostenuto muri ritmico. L’ingresso della voce è un pugno in pieno volto. Growl, rabbiosa, sostenuta da una base strumentale dritta.

Una sola nota per le chitarre in pennata alternata che crea una vera barriera sonora. Suoni di synth, passaggio di basso, ritmo cadenzato segnano l’apertura sul ritornello. Qui si cambia ancora. Si rallenta. La batteria fa la differenza con passaggi leggeri ma variegati. Il rientro è contrassegnato dal ritorno deu synth, delle chitarre cadenzate. Inatteso il break centrale. Solo voce e tastiere. Atmosfere languide, space quasi. I colpi di chitarra reintroducono la strofa. Questa volta in pulito e melodica. Almeno fino ad un certo punto. Si torna alle chitarre cadenzate per la chiusura. WTF è introdotta da un piano jazzato.

La calma prima della tempesta del riff di chitarra. Nuovo contrasto. Si torna su coordinate urban. Si abbassano i toni. La voce quasi sussurra. Ma ai nostri piacciono i contrasti. Il brano si incattivisce fino ad arrivare al growl che anticipa lo stop. Ancora lounge. Nuove contrapposizioni. A legare il tutto la voce. Dopo l’ennesima sfuriata ancora un mutamento. Tempo lento, cadenzato. Voce melodica. Un passaggio in growl segna l’ingresso in un nuovo scenario. Questa volta è la sezione ritmica a prendere il sopravvento. Ritmo cadenzato con terzine di cassa all’unisono con chitarra e basso.

La seconda sei corda fa interventi acuti con note lunghe. Il brano riapre sul ritornello che ricomincia a correre. Lodevole il lavoro di Lattes che passa dal pulito al growl senza fatica. La struttura circolare riporta all’intro jazzata per la chiusura. Al fulmicotone la partenza della successiva Going Down. Power chord introducono il riff portante al quale si affianca poi una chitarra in armonizzazione. La batteria è cadenzata sul rullante. Quando sembra il brano debba esplodere, rallenta. Ritmi cadenzati, voce sussurrata e poi piena anticipa la reprise in crescendo. Stop della base ritmica per lasciare spazio alla sola chitarra.

Il rientro è super melodico affidato alla voce e al ritmo rapido. Intermezzo ritmico con colpi secchi riportano alla strofa che termina in crescendo. Perfetta introduzione per il solo. Questo si distingue per due parti, una lenta e una veloce che lo chiude. L’andamento di fa cadenzato. A circa ¾ cambio radicale. Passaggio su rullata di batteria. Rullante iterato, chitarra su un solo riff. Voce su una sola frase. Il ritornello riporta tutto su coordinate note. Ma la canzone non si arresta, come non si fermano i cambi. Arriva l’intervento di una seconda voce che doppia su un registro più acuto quella portante. Finale in crescendo.

Room whith a view è un altro capitolo a se stante. Inizia a pieno ritmo con un riff scandito dalle chitarre. Si tratta solo di un intro. Subito dopo, come antefatto all’arrivo della voce, passaggio percussivo solo basso, batteria e suoni sintetici. L’intervento delle chitarre segna l’arrivo anche del growl che si alterna alla voce pulita. Il lavoro delle sei corde è davvero impressionante. Sempre divise, costantemente impegnate a tessere trame che si incrociano, si sovrappongono, si rincorrono. L’apertura melodica del ritornello interrotta da un’improvvisa accelerazione e dalla voce in growl. Nuovo cambio ritmico.

Chitarre e batteria all’unisono. Torna il riffa basso e batteria, ma solo per anticipare un nuovo scenario caratterizzato dalle chitarre. Torna il ritornello. Subito dopo una grande passaggio cadenzato su ritmiche spezzate. Le chitarre si differenziano. La prima mantiene il riff. La seconda lavora su note più acute che poi introducono il solo melodico anche se veloce, e di ottimo gusto. La melodia riprende il controllo con il ritornello. Il finale è affidato alla sezione cadenzata. Un intro che potrebbe richiamare i Pink Floyd caratterizza Scars. Anche in questo caso è la sezione ritmica a fare la differenza. Gli strumenti a corda spezzano il ritmo mentre la batteria si mantiene piena.

Una soluzione davvero notevole che trova sfogo nel crescendo finale. I toni si abbassano di nuovo per dare spazio alla medesima struttura precedente. Difficile seguire tutti gli strumenti. Sono su coordinate del tutto separate. Si riuniscono, brevemente, solo nel bridge che anticipa il solo di chitarra. La base resta spezzata. Il rientro è un nuovo cambio. Solo voce. Chitarra in arpeggio pulito. Silenzio e ripresa a piena voce. Ritmo spezzato porta alla chiusura. Il suono di carillon introduce Get Out. Nuovamente contrasti. Terminata la carica del carillon, fa il suo ingresso un riff pesantissimo. Lento, cadenzato, mastodontico. Anche in questo frangente le chitarre si differenziano. Il cantano poggia su una base che definire granitica è riduttivo. Tempi dispari accompagnano la batteria.

Tutti gli strumenti viaggiano su suddivisioni ritmiche a se stanti. È la voce a fare da filo rosso. Soprattutto quando la canzone cambia all’improvviso facendosi melodica e abbandonando le ritmiche serrate. Ancora tempi dispari. Questa volta su un passaggio lento dove spicca il basso. Voce narrativa che si trasforma lentamente in attesa del ritorno delle chitarre. Apertura melodica sul ritornello. Improvvisamente si presenta uno scorcio acustico, blueseggiante. Un breve pause in un corridoio metallico. Infatti l brano rientra a pieno ritmo presentando il solo di chitarra. Alla sua chiusura si torna in acustico. Solo chitarra e voce. Quest’ultima tiene la stessa melodia anche al rientro di tutti gli strumenti. Il finale è acustico.

Una cavalcata metallica The beast. Riff veloce introduce una struttura ritmica che vede in prima battuta le chitarre su accordi aperti. Immediatamente dopo è il palm muting a dominare con ritmiche degne dei migliori Fear Factory. Per non annoiarsi, la seconda chitarra si stacca per andare a disegnare melodie proprie. La ritmica resta incalzante pur non perdendo la melodia. Si ripresenta il riff iniziale prima di rientrare sul solo. Questo è caratterizzato dall’utilizzo di scale minori armoniche dal suono arabeggiante. Il rientro è a pieno ritmo. Cadenzato. Apre alla melodia della strofa, immediatamente interrotta dal growl. Interruzione breve prima del finale rallentato e cadenzato. La ritmica è serratissima. Impenetrabile.

Chiude il disco No place for me. Il brano si presenta subito come una ballata semi acustica. Lodevole la melodia della voce. L’arrivo degli altri strumenti questa volta non porta cambi di passo decisi. Anzi. Si infittiscono le atmosfere. Per avere un cambio di potenza si dovrà aspettare il ritornello. I suoni sono comunque caratterizzati da accordi lunghi, senza ritmiche perticolarmente incalzanti. Si torna acustici per la seconda strofa. Nuovamente si alternano momenti elettrici pieni a frangenti acustici. Il solo è su una base elettrica. Lento, evocativo, struggente. Come struggente diventa la voce su una base che rimane piena. Finale sul crescendo del chorus.

Tirando le somme.

Difficile, difficilissimo descrivere il lavoro dei New Disorder. Troppi cambi, troppe soluzioni intricate. La tecnica dei musicisti è davvero notevole, così come la capacità di songwriting. Quanto sopra scritto è solo un tentativo di far capire di fronte a che tipo ci si trova. Un lavoro assolutamente complesso. Complesso eppure orecchiabile. Non disco catchy ma certo caratterizzato da melodie mozzafiato. Anche in questo caso la sola soluzione è ricorrere ad un esempio visivo per cercare di spiegarsi.

Dovessi legare la musica dei New Disorder ad un’immagine la collegherei a quella delle scene di un film di fantascienza. Ma di quella ‘spessa’, impegnativa, molto cyberpunk. Ecco. Musica cibernetica potremmo definire quella proposta dai nostri. Cibernetica per mille motivi. Ad iniziare dai suoni per proseguire con l’andamento e i cambi, i testi, l’intenzione. Una colonna sonora che non stonerebbe per film quali Akira, Ghost in the shell e simili.

Come si può quindi descrivere il lavoro dei nostri? Forse con una sola parola: perfetto. Perfetta unione di generi e stili diversi amalgamati in modo magistrale. Prodotto conseguenzialmente. Un disco difficile e per questo notevole. Non saranno sufficienti 100 ascolti per riuscire ad entrare nel suo infinito mondo di sfaccettature. Basterà, però, una sola canzone per amarlo o odiarlo. Impossibili le mezze misure.

È un lavoro dai forti contrasti e in quanto tale non permette mezze misure nel suo apprezzamento. Consigliato a chiunque voglia sentire buona musica, è stanco delle solite soluzioni, vuole scoprire come possono essere ottimamente utilizzate due chitarre in una band. Un lavoro che non stancherà mai. Ora non resta che aspettare pazientemente il prossimo lavoro. Una dubbio resta. Dopo un’opera così mastodontica, cosa si potrà mai inventare la band per superare se stessa?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *