Il silenzio delle vergini

C’è modo e modo di affrontare le contraddizioni, i meandri più oscuri dell’essere umano e del suo animo. C’è chi urla, chi sussurra, chi lo fa disperandosi, chi con ritmi ultrarallentati. Ma c’è anche chi lo fa con brani synth caratterizzati da basi morbide, languide, sognanti. Sono Il silenzio delle vergini. Il caso è quello del loro primo disco. I nostri trattano di temi piuttosto ‘ingombranti’, importanti non solo per il singolo individuo, ma per l’umanità intera. E i testi sono la chiave di questo lavoro.

La base strumentale non fa altro che fungere da levatrice ad una serie di emozioni evocate dalle parole. L’intenzione della band in realtà è delineata fin dal primo brano. Martin. Questo prende il famoso discorso tenuto da Martin Luther King il 28 agosto 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington durante il quale ha utilizzato la frase, poi diventata iconica “i have a dream”. Solo questa intro è sufficiente per far capire dinnanzi a che genere di lavoro ci si trova. Nel senso greco del termine è un lavoro assolutamente politico. Ossia, un disco che prende delle posizioni ben precise.

Il silenzio delle vergini non si limitano ad enunciare delle problematiche. Le denunciano, ne sottolineano la pericolosità, ne cercano una soluzione. Le descrivono in maniera intima, personale eppure comune. Soprattutto, tentano di mettere in evidenza le cause. Brani contro i luoghi comuni, contro la violenza sulle donne, contro la differenza di genere, contro la crisi climatica. Un disco giovane, perché sonorità, parole, modalità espressive, sono giovani. Ma in realtà trasversale, senza limiti di età. Anzi. È chiaro come i nostri cerchino di arrivare a più persone possibile. Questo non significa commerciale, banale, semplicistico. Significa testi diretti. Nessun giro di parole.

Alle volte crudi, si ascolti Berenice. La voce femminile, il più delle volte, narra, evoca, parla più che cantare. Tuttavia i passaggi dove invece si lascia andare a vocalizzi melodici è sorprendentemente avvolgente, calda. Le basi sono caratterizzate da suoni lunghi, dilatati, space quasi. I synth dominano l’atmosfera generale pur con l’ausilio della chitarra. A volte è usata in pulito, in arpeggio, altre volte in crunch per sfiorare la distorsione piena in odore di post rock. All’interno del disco non ci sono canzoni ‘leggere’, disimpegnate. Quasi a sottolineare un urgenza, una necessità espressiva.

La voglia di urlare al mondo di fermarsi. Di non continuare a sbagliare. Di prendere atto di dove siamo per poter evolvere in meglio. Non sono solo le brutture della società contemporanea ad essere sotto i riflettori. Sono anche e, forse più, i modi per superarle. Le canzoni sono racconti, nel senso letterale del termine. Narrazioni che non scaturiscono da momenti di sconforto adolescenziale. Tutt’altro. Parole che emergono ds profonda riflessione, analisi di se stessi e di ciò che ci circonda. Visivamente il disco propone l’immagine di una ragazza ferma in mezzo ad una piazza. La musica scorre.

Attorno a lei miriadi di persona passano. Persone di tutti i tipi. In un angolo un gruppo di immigrati, chiacchierano. Più in là un colletto bianco. Appena dietro due donne con buste di marca. La nostra protagonista, con gli auricolari, osserva. Fa un lento giro su se stessa. Le parole delle testi scaturiscono dai soi pensieri. Poco lontano, sulla strada, il traffico dell’ora di punta è paralizzato. Taxi, tram, auto private. Sulle ciclabili uomini in cravatta e caschetto sfrecciano senza ostacoli. O quasi. Semaforo rosso. La nostra volteggia ancora su se stessa. Un cielo azzurro, settembrino, saluta una giornata senza nome. Cartelloni pubblicitari dai toni sessisti troneggiano sullo spiazzo. Giovani che distribuiscono free press allungano l’ennesima copia a persone distratte. Sulla prima pagina, guerra, crisi climatica, mancanza di prospettive. Eppure la nostra ragazza non si ferma.

È come se a spingerla fosse la voglia di vivere stessa. Il fatto di girare le dà la possibilità di ritrovarsi. Di capire dov’è. Di capire come le persone che la circondano facciano parte di un immenso tutto di cui non si accorgono. Il suo desiderio è che i suoi pensieri escano dalla sua mente sotto forma di note e vadano per la città. Cercando di risvegliare chi ancora dorme.
Tutti i brani, visti in questa ottica, assumono una forma più forte, pregnante, dirompente.


In conclusione. Un bel disco davvero quello de Il silenzio delle vergini. Con pacatezza spiattella senza peli sulla lingua la parte peggiore della nostra società. Con altrettanta calma, però, cerca di mostrare delle vie di uscita. Non delle fughe, dei metodi per sistemare le cose. Un disco che di ascolto in ascolto riesce a trasmettere speranza e positività. Proprio grazie ai temi trattati.

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