IMO

La forma più delle sostanza. L’ostentazione più del contenuto. E non parliamo di estetica. Capita sempre più spesso che arrivino dischi in cui l’ostentazione tecnica viene messa in primo piano rispetto alla stessa musica. Certe band sembrano più preoccupate di ‘giustifica’ la realizzazione di un disco che non di esprimere un messaggio.

Quasi che dicano: guarda come siamo bravi, meritiamo di incidere e di essere notati. Il che non è necessariamente un male. Non lo è se le capacità vengono messe al servizio dei brani e non viceversa. Che senso ha scrivere una suite lunghissima con milioni di cambi se il messaggio si perde? Prima di dare il benestare per registrare, ci si è chiesti cosa si stesse facendo?

Ci si è chiesti perché ho scritto una canzone così lunga? Soprattutto, ci si è domandati se ciò che voglio esprimere rimane o si perde nella miriade di note suonate? Di canzoni lunghe e complesse ce ne sono moltissime, in tantissimi generi diversi. Non tutte sono ben riuscite. E se non riesce un professionista a gestire una tale mole di materiale, come possiamo farlo noi comuni mortali?

I brani intricati e lunghi di successo hanno un particolare in comune: il completo controllo della canzone. In ogni istante. Cosa che non avviene per diverse band emergenti. Pensando di star scrivendo la nuova suite dei Genesis, i gruppi si perdono nei rivoli della composizione perdendo il filo conduttore. Questo è e rimane sempre il contesto narrativo. Chiariamo. Per scrivere un determinato tipo di canzone si deve essere in grado. E questo lo sono tutti i gruppi. Il problema arriva nel momento in cui compongo.

Una creazione strutturata su cinque o più riff o momenti, deve necessariamente avere una coerenza. I Pain of salvation sono maestri delle canzon ‘umorali’. I loro brani sono decisamente lunghi. Eppure riescono a non risultare noiosi o stancanti. Per quale motivo? Perché hanno sempre il controllo di quello che stanno facendo. Soprattutto hanno sempre ben presente cosa vogliono dire.

La musica deve essere il mezzo per potersi esprimere. Allo stesso modo i Dream Theatre. I loro dischi non sono ostensivi. Non vogliono di mostrare le capacità del gruppo. Vogliono, da sempre, fa passare emozioni. Quindi, io gruppo indipendente, underground, che cosa posso imparare da loro? Più che la tecnica, questa capacità narrativa. Prima di inserire in un contesto già di pe sé intricato ulteriori passaggi che evidenziano le mie capacità, dovrei chiedermi se serve. Il rischio di non farlo qual è?

Di risultare noioso, freddo, inutile. E nessuno vuole vedere la propria musica trattata in questo modo. Soprattutto se di alto livello tecnico. Nonostante tutte questa considerazioni, molti gruppi non si pongono il problema. Scrivono brani ipercomplessi ai quali sommano altri passaggi comlicati rendendo l’ascolto non solo difficile, ma, appunto, noioso. Arrivato alle quarta canzone con all’interno decine e decine di cambi, si corre anche un altro rischio. Quello della ripetitività. E si.

O si cambia genere di brano in brano o se no le strutture rischiano di assomigliarsi. E noi richiamo di non riuscire più a distinguere una canzone dall’altra. Nella loro complessità, si somigliano tutte. La soluzione è l’equilibrio. Il fatto che una band sappia suonare, emerge dai solchi. Si capisce. È chiaro. La scelta, quindi, potrebbe essere che invece di assommare complicatezza a complicatezza, potrei tenere qualcuno di quei riff per un nuovo brano. Magari per il disco successivo.

Perché, se io sparo tutte le mie cartucce in un solo disco, in quello dopo cosa ci metterò? O rischio di produrre una fotocopia del primo o deve necessariamente cambiare direzione. E qui si aggiunge un altro tassello di difficoltà. Ossia. Se le band indipendenti hanno paura di sperimentare, come possono cambiare strada senza tradire se stesse? Viene quindi da sé che decidere scientemente di prediligere la forma alla sostanza, si porta dietro una miriade di conseguenze.

Anche che non hanno a che fare direttamente con il disco prodotto. Il rischio, allora, è quello di cadere in empasse e stagnazione che ci portano alla morte artistica. Si deve sempre tenere presente che ciò che conta è quello che voglio dire più che il come. Questo secondo aspetto deve adattarsi al mio messaggio e al mio stile, ma non ne deve prendere il controllo. Almeno se voglio evolvere e non voglio produrre un solo disco che tutti osanneranno per un certo periodo perché ultra complesso ma che certo andrà nel dimenticatoio non appena arriverà un nuovo fenomeno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *