Imo radio

L’IMO di oggi nasce da una domanda semplice quanto complessa è la risposta. Il quesito è: perché le radio non passano artisti underground? Non è e, non può essere, un discorso qualitativo. Sappiamo bene che il nostro mondo è colmo di ottimi musicisti. Non può neppure essere una questione di radiofonicità o orecchiabilità. Molte sono le band che producono canzoni melodiche, seppure con suoni decisi. Neppure su può dire che si tratta di artisti sconosciuti e che quindi nessuno ascolterebbe.

Tutti gli artisti sono sconosciuti all’inizio della carriera. Gli stessi che entrano nelle heavy rotation di determinate emittenti prima di quel momento non li conosceva nessuno. Esclusa anche la componente linguistica. Nell’universo underground ci sono artisti che si esprimono sia in inglese sia in italiano. Senza dimenticare chi sceglie anche il dialetto. Problema di genere proposto? Neanche.

Sono talmente variegati gli stili musicali che davvero ce n’è per tutti i gusti. Le band underground non hanno una etichetta discografica? E quindi? Problemi con gli ascoltatori? Non credo. Alle persone piace scoprire artisti nuovi, purché siano affini ai propri gusti. Ma questo viene da sé. Eppure tutti quelli che sono diventati fenomeni mediatici sono partiti dall’anonimato. Perché, quindi, escludere a priori, per scelta consapevole e precisa, band sotterranee? Ad aggravare la situazione ci pensa il fatto che non ci sono o, se esistono, emittenti che hanno uno spazio dedicato alla ricerca di nuovi artisti.

Quelli che ci sono sono microscopici, spesso amatoriali, senza progetto. La questione qual è, quindi? Che gli artisti indipendenti non possono pagare i passaggi radiofonici? Ma non dovrebbe essere la pubblicità a coprire quei costi? O siamo arrivati al livello che se non hai soldi non vai da nessuna parte? Non credo e mi auguro di no. Esiste un resoconto sull’operato delle etichette indipendenti che ben evidenzia come queste rappresentino una grande fetta di mercato, in costante espansione.

Quindi? Qual è la logica? I musicisti underground non sono modelli o non hanno appeal? Non sono telegenici? Sono poco fotogenici? Viene da sé che sono tutte sciocchezze. Allora per quale motivo? Che cosa fa scegliere alle emittenti di preferire la band californiana al primo disco anziché il gruppo romano, milanese, bolzanino, siracusano, napoletano, barese, che di dischi ne ha già incisi due? Mancanza di coraggio? Il rischio non fa parte dei loro valori? Eppure il rischio c’è ogni qual volta si propone un nome nuovo. Da qualsivoglia luogo del globo terraqueo provenga. Forse sono i testi.

Gli artisti underground fanno testi troppo impegnati, diretti, senza mezze misure. Può darsi, ma non tutti. E, in ogni caso, anche i testi delle band trasmesse non sono sempre leggeri ed edulcorati. Sarei proprio curioso di sapere dalla viva voce dei protagonisti, quindi di chi decide le linee editoriali dei network, qual è l’elemento discriminante e discriminatorio. Forse i musicisti underground sono troppo avanti. Vogliono andare oltre il già sentito, oltre l’autoreferenzialità, l’onanismo costante dell’ascoltare sempre la solita musica. O, magari, chi delinea la via delle radio ritiene gli ascoltatori troppo stupidi per poter capire.

Vero è che, ormai, non esiste una sola emittente che non abbia effettuato approfonditissime ricerche di mercato prima di proporre una canzone. Tuttavia, le stesse ricerche di mercato, dovrebbero evidenziare come esiste una grossa, enorme fetta di ascoltatori che non ha voglia di sentire sempre le stesse cose. Si, avere delle sicurezze, dei punti fermi fa bene a tutti. Ma l’evoluzione passa attraverso il superare questi paletti. Tanto i grossi nomi restano lì, fermi, inamovibili, idolatrati da qui all’eternità. A variare è ciò che li circonda. Torna la domanda: perché dopo i Metallica non proporre una band underground nostrana?

Perché si rischia che possa diventare famose e questo non può accadere? Allo stato attuale il discorso dell’esterofilia non può più reggere. C’è internet. Ci sono milioni di artisti e brani ascoltabili. Il bello è che le persone cercano nuovi stimoli indipendente dal paese di provenienze. Diciamo che la vera difficoltà, al limite, potrebbe essere il farsi trovare, da parte delle band. Eppure è un punto di vista che alla radio non dovrebbe interessare. Quindi, perché certe scelte? Non è un questione qualitativa, non è un problema di genere, non è un fattore di commercializzazione. Che cos’è allora? Ai posteri l’ardua sentenza? Credo non sia possibile. L’arcano va svelato ora. Perché? Perché è giusto, perché è necessario per sbloccare un mercato potenzialmente infinito e tendenzialmente vergine.

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