IMO punk

Partiamo dal presupposto che paragoni non se fanno, mai. Invece domande, dubbi, riflessioni, sono più che leciti. Una vita senza questi è un po’ come un cielo senza stelle. E il quesito che anima il dubbio è: perché la scena underground punk/hardcore è molto più unita, compatta, per quanto eterogenea, rispetto a quella rock? A ben vedere l’evoluzione dei due ambienti è molto simile. Ad iniziare dalla data di nascita. Qualche anno di differenza c’è. Il punk come fenomeno è esploso qualche anno prima rispetto al rock e al metal. Ma non è sufficiente a spiegare il divario.

Con l’andare del tempo il mondo della musica dura ha trovato diversi spiragli di luce che hanno portato visibilità all’ambiente. Per il punk questo non è successo. O, quantomeno, non nella stessa maniera. Fin dal principio il mondo del rock ha trovato riscontro, estimatori, persone che ci hanno creduto. Ci hanno creduto così tanto da investire in quella direzione. Sono nate molteplici riviste, patinate, che hanno parlato di rock e metal. Le conosciamo tutti, inutile stare ad elencarle. Col tempo, poi, si sono moltiplicate a dismisura. Oggi molte sono decedute o hanno cambiato pelle riversandosi nel fantastico mondo di internet. Per il punk non è andata così.

Mentre negli anni ’80 quasi una decina di riviste parlavano di rock, solo un paio di occupavano in modo specifico di punk, hardcore e affini. Eppure non ho mai sentito ‘lamentele’, recriminazioni, moti di ribellione. Tutt’altro. Poche ma buone era la risposta. Ed effettivamente erano decisamente ben fatte, ottimamente curate. Meno patinate, più veraci, ad iniziare dalla scelta della carta. A tenere vivo il movimento crestato ci hanno pensato le famose fanzine. Fogli di carta spesso ciclostilata, da richiedere direttamente a chi le faceva. Copertine fatte a mano, impaginazione sconnessa, immagini in bianco e nero. Eppure funzionavano molto bene. Senza dimenticare il passaparola.

Fenomeno quest’ultimo che ha caratterizzato per un po’ anche il mondo del rock. Eppure di band che sono poi esplose non ne mancano anche per il punk. La trasformazione del genere da punk a punk rock ha aiutato a far emergere molti gruppi. Ma questo pare non aver toccato il cuore del movimento. Al contrario. Chi è assurto agli onori della cronaca non è stato etichettato come traditore. È stato semplicemente ‘escluso’ da un certo giro. Non se ne è parlato più, punto e basta. Senza infinite discussioni sul perché e per come. Lo zoccolo duro della scena è rimasto intatto e coeso.

Nel rock invece sono arrivate invidie, rosicamenti, risentimenti. La domanda: perché loro si e noi no ha dominato la scena corrompendola dall’interno. Questo lo si è notato fin da subito. Quando i concerti erano pieni si, ma in modo alternato. Se suonava tizio c’erano solo i suoi fans, se suonava caio solo i suoi e così via. Non mi pare, ma posso sbagliare, che nel punk sia successa la stessa cosa. Mentre nel rock molti hanno iniziato ad inseguire i concerti dei big, nel punk tutto ha continuato ad essere a sé. Non che le calate interra italica di nomi grossi non abbiano attirato persone. Me si è trattato di un pubblico diverso. Era più facile trovare punk ai concerti thrash che non a quelli degli Offspring.

Anche il mondo delle etichette era decisamente più sentito e presente. Si conoscevano bene quelle indipendenti. Anzi, se una label non era indipendente non andava la pena seguirla. Dal roster di molte di queste sono nati grandissimi nomi del rock contemporaneo. A partire dagli Offspring, con la Epitaph, per passare poi a tutta la musica prodotta dalla Sub Pop, anche se questa non era prettamente punk. Poi Alternative Tentacles, e via sciorinando. Tutti nomi che non si sono svenduti perché dal loro catalogo sono emersi molti gruppi famosi.

Per il mondo rock era diverso. I nomi delle etichette che giravano erano in ogni caso grossi, quasi monopolistici nel genere di riferimento. Solo negli ultimi decenni c’è stata un’inversione di tendenza grazie alla crisi del settore. Potremmo addirittura azzardare che mentre i gruppi rock e metal inseguivano il super contratto, quelli punk hardcore cercavano solo qualcuno che li potesse produrre e fa girare un po’ il nome. E questo è solo l’aspetto musicale. Quello sociale non si differenzia molto.

Ossia, le origini dei due mondi sono molto simili anche sotto questo aspetto. Il punk forse ha mantenuto più inalterato il senso di rivolta, il nichilismo che lo spesso caratterizzato. Anche logisticamente il punk ha avuto riferimenti diretti. I centri sociali, le case occupate, gli spazi autogestiti. Si potrebbe affermare che l’aspetto più concreto, politico da un certo punto di vista, ha aiutato la compattezza. Nel rock questa è scomparsa. Al suo posto hanno preso piede mille sottogeneri che hanno frantumato la scena settorializzando. Ovvio che nel mondo punk non è stato e non sia tutto rose e fiori.

Anche lì ci sono state diatribe, invidie, ripicche, baruffe. Però, pare, non abbiano avuto le conseguenze che hanno avuto per il rock. Solo il tempo sembra aver fatto migliorare le cose nella casa della musica dura. Come accennato, negli ultimi decenni sembra che tante barriere siano cadute e altre sono agli sgoccioli. Sarà anche la mancanza di un cambio generazionale radicale e quindi la maturazione dei protagonisti ad aver affievolito certi estremi. Resta in ogni caso il fatto.

È evidente che la strada da fare è ancora lunga. Forse non si raggiungerà mai una coesione tale per cui saremo un corpo solo. Ma, come si suol dire, tutti i grandi viaggio iniziano con il primo passo. E noi sembra lo abbiamo fatto. Non resta che continuare a camminare. Soprattutto, si deve conservare il medesimo spirito di ribellione che ci ha sempre contraddistinto.

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