imo underground

Spesse volte determinati dischi non convincono non perché non siano suonati bene, ma perché il tipo di riffing scelto risulta essere troppo sfruttato. Mi spiego meglio. Che i generi musica siano composti da schemi, risulta chiaro. Se voglio suonare thrash ‘devo’ suonare in un certo modo, così come se desidero rientrare nella categoria indie e via discorrendo. Tutto sacrosanto. Il punto è, tuttavia, che anche gli schemi evolvono. Gli stessi artisti capostipiti di un determinato genere non suonano nel medesimo modo.

Non si tratta solo di evoluzione tecnica, che in ogni caso ha il proprio peso. Si tratta proprio di evoluzione personale. La domanda è, se chi ha inventato un certo genere, che lo voglia o no, se ne discosta cercando soluzioni diverse, perché io artista indipendente devo invece tendere a fossilizzare quella stessa musica? Che senso ha nel 2023 suonare come suonavano gli Iron Maiden 40nni fa, o i Metallica o Madonna o chiunque altro? Di note attraverso gli amplificatori ne sono passate.

È tutto cambiato. Perché, quindi, dovrei far finta che non sia così? Ma non solo. Fingere che il tempo non sia trascorso e offendermi se qualcuno mi dice che il mio disco, o la mia canzone, non funziona perché è musicalmente ‘ferma’? È la domanda che mi piacerebbe rivolgere a chi sceglie, scientemente, di intraprendere questa strada.

Di band e artisti che hanno deciso di proseguire sul solco di generi rodati, ce ne sono a bizzeffe. Tuttavia si nota sempre che, in qualche modo, lo hanno portato un passo più in là. Pur rimanendo in solchi ben tracciati, sono in ogni caso distinguibili. Un esempio su tutti, i Municipal Waste. Sono thrash, ma ascoltandoli si riconosce il loro stile. La derivatività dei primi dischi ci può stare. Sono quelli a venire che invece preoccupano. Mi è capitato di sentirmi dire da diversi gruppi arrivati al terzo disco, che il loro suono è quello. Prendere o lasciare.

Be, meglio lasciare. Esistono band che hanno suonato per una vita nello stesso modo, ma stiamo parlando di nomi più che storici. Il mio giovane gruppo non ha la forza per fare la stessa cosa. Senza contare che non siamo più neppure nel medesimo periodo storico. È innegabile che oggi l’asticella delle competenze, sia tecniche che di scrittura, si sia alzata. Oggi scrivere un buon disco è, da una parta, più facile. Avere esattamente il suono che si desidera è semplice come un click.

Dall’altra, è molto più difficile. È difficile perché gli ascoltatori hanno nelle orecchie non solo specifici suoni, ma precise soluzioni. E al di sotto di quello standard risulta tutto non al livello. Per fare un paragone con un’altra arte, possiamo dire che è come in fotografia. Tutti fanno foto, ma pochi emergono. L’abitudine ad osservare tonnellate di immagini ogni giorno ha allenato il nostro occhio.

Oggi come oggi quasi chiunque può, al di là dei gusti personali, riuscire a capire la differenza tra una buona immagine e una che non funziona. In musica avviene la stessa cosa. Dal mio punto di vista è un punto di vista applicabile anche all’ascoltatore medio. Le voci pop oggi in circolazione sono decisamente di valore. Che poi appartengano ad un genere che non ci si confà, è un altro paio di maniche. Ma non si può certo dire che siano voci senza colore.

Ergo, sentendo un o una cantante sotto quello standard, gli risulterà poco attraente. Questo non vuol dire che si devono seguire le mode. Ma che, almeno, si dovrebbe stare attenti a cosa ci succedere intorno. Se nel thrash determinate soluzioni sono state modificate, forse dovremmo tenerne conto. Non farlo ci fa correre il grosso rischio di non essere interessanti. Essere un artista underground ha il grande vantaggio di portarmi fuori dalle logiche di mercato.

Tuttavia mi chiede anche di rischiare, di cercare di essere innovativo, sperimentare. Diversamente non sono altro che una copia sbiadita di ciò che ha funzionato o funziona nel mainstream. E a nessuno piace essere una copia. Ergo, quando si compone, prima di far ascoltare il risultato dei nostri sforzi, è meglio riascoltarsi. Nel caso, si torna sui propri passi e si sistemano le cose. E non è una teoria.

Sono moltissimi gli artisti che lavorano in questo modo. Magari il singolo verrà pubblicato in ritardo rispetto alle aspettative, ma certamente il risultato risulterà più soddisfacente per la band e più appetibile per chi ascolta. Anche undergrounders siamo sempre all’interno di un contesto di proposta di un prodotto che vogliamo venga accolto. Con o senza compromessi non ci importa, è questione di scelta personale. Quello che conta è che giri. Se invece oltre ad essere undergrounders non siamo neppure sperimentatori, allora non possiamo lamentarci di essere poco o per nulla ascoltati.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *