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Sarebbe ora di smetterla di dire che la musica proposta i Italia fa tutta schifo. Ormai è diventato un luogo comune, un qualcosa detto per abitudine e non per oggettività. Va bene, fa schifo, e quindi? Cosa facciamo? Cerchiamo di ritirarlo su o vogliamo dargli il colpo di grazia? Mi riferisco ad una polemica che da qualche giorno sta tenendo banco in rete a seguito del commento di Enrico Silvestrin, divulgatore musicale, sulla musica di Fedez and friends. Silvestrin prende spunto da una esibizione del rapper per condannare non solo la produzione artistica dello stesso ma tutta la musica prodotta in Italia.

Altrove si strugge per la bassissima qualità, raggiunta a livello generale, e per il numeroso pubblico pagante e gaudente presente a festival, secondo lui, di dubbio gusto musicale. Silvestrin ha tutte le ragioni per essere deluso, amareggiato, colpito dal mercato musicale contemporaneo italiano. Ha tuttavia un vizio di base il suo ragionamento. Non tiene minimamente presente l’underground. Passa dal mainstream al quasi mainstream senza andare più sotto.

Di quando in quando si occupa di musica indipendente italiana per stroncarla e ricacciarla dal baratro da cui è uscita. Le accuse sono: derivatività, mancata innovazione, produzioni dubbie, poca capacità compositiva e via sciorinando. Anche in questo caso potrebbe avere ragione, se non esistesse tutto un sottobosco che va completamente dalla parte opposta rispetto alle sue considerazioni. Sia chiaro, non mi metto minimamente al suo livello. Io sono un signor nessuno.

Lui ha un’esperienza lunghissima, una conoscenza approfondita della musica, oltre ad aver intervistato importantissimi artisti. Mi permetto di esprimere il mio punto di vista in quanto, per scelta, ho deciso di occuparmi esclusivamente di musica underground italiana. Non certo per nazionalismo. Credo ci sia poco così lontano dal mio modo di essere come il nazionalismo. Ogni settorialismo, chiusura, limitazione cerco accuratamente di tenerla lontana. L’oggettività dovrebbe essere la maestra di ogni esternazione.

Eppure pare che così non sia. Che buona parte della proposta musicale nostrana possa essere discutibile siamo concordi. Non tutto però. Esiste una pletora di band più che valide. Gruppi che cercano una propria strada, cercano di innovare, cercano una propria voce. Ne esistono ancora che magari hanno dalla loro solo la volontà di esprimersi al di là di tutto. E sono tutti artisti degni, degnissimi. Possono piacere o non piacere, ma è un altro discorso.

Viene da sé che anche nell’underground esistono band se non inascoltabili, quasi. Persone che effettivamente producono dischi di dubbio gusto. Ma chi siamo noi per stroncarli? È sufficiente non ascoltarli. Soprattutto, non sono indice della qualità complessiva. Inviterei Silvestrine e, chi per esso, a fare una ricerca effettiva nell’underground italiano e verificare di persona che non è esattissimo quello che dice.

Ciò che poi perplime è la scelta di far passare artisti stranieri omologhi di quelli italiani come innovatori e migliori. Forse è questo il nodo principale. A parità di qualità e di proposta, si preferiscono band oltreconfine. Non importa da dove arrivino, l’importante è che non siano italiane. Si fa passare la derivatività di certuni come scelta stilistica, la mancanza di idee di altri come sperimentazione, l’incapacità tecnica come minimalismo.

Questo avviene pure a livello molto alto. Da parte di chi poi quei gruppi li passa alla radio. Perché dover ascoltare i Greta Van Fleet quando abbiamo già i Led Zeppelin? E perché per loro il clonare Page and co è una scelta stilistica mentre per una band italiana è mancanza di idee, di originalità, vuol dire essere ancorati al passato? Come i GVF se ne possono nominare molti altri. Il primo disco dei Black Crows era pessimo.

Riff mutuati dai grandi nomi degli anni 70 rimescolati e messi assieme in maniera approssimativa. Si potevano distinguere nettamente le varie ‘influenze’. Eppure suonarono al Monsters of rock del ’92. Unici i italiani, i Negazione. Possibile non ci fosse nessuno migliore dei Black Crows ad un prezzo anche inferiore (non credo abbiano suonato gratis). Pare essere sempre così. A parità di capacità, di qualità, di proposta, si preferisce sempre l’erba del vicino.

Purtroppo sono spesso i soliti nomi a determinare l’andamento del mercato. Ricordo la seconda metà degli anni ’90. Ci fu un annata in cui nessun big della canzone italiana produsse dischi. Un buco pazzesco. Da una parte. Dall’altra fu il momento in cui vennero lasciati emergere gruppi del sottobosco. Modena city Ramblers, Bandabardò, Gang, e via discorrendo vennero scoperti dal grande pubblico.

Certo, fu un attimo, il tempo di tamponare una falla e poi rimandarli da dove erano venuti. Ma tanto bastò per fare la differenza nella carriera di quei gruppi. Questo a significare che avendo il giusto spazio a disposizione anche la musica prodotta in Italia funziona. Ancora. Ricordo gli esordi di Elio e le storie tese. Iniziarono a crescere grazie ad una cassetta pirata registrata durante un live.

Come si direbbe oggi, quella registrazione divenne virale spingendo le major ad interessarsi del fenomeno. È ovvio che le multinazionali vadano sul sicuro e non rischiano per il gusto di farlo. Quindi mettendo sotto contratto Elio era certo avrebbero venduto perché la loro musica funzionava già. E potremmo continuare. Questo per dire che Silvestrin non ha ragione. Non è vero che tutta la musica prodotta in Italia fa schifo, che non c’è chi osa, chi sperimenta.

Se non lo si cerca, non lo si trova, purtroppo. Questo è vero. Ed è il motivo per cui dare spazio ad artisti underground è fondamentale. Il futuro della buona musica esiste ed è nel sottobosco. Ma va scoperto. Va aiutato ad emergere. È il motivo per il quale persone come Silvestrin sono fondamentali, ma devono essere oggettive.

Ovvio che lavorando per se stessi, non dovendo rendere conto a nessuno di aquello che faccio, parlo, bene, solo di ciò che voglio e mi piace. Sacrosanto. Un po’ meno dire che ciò che propongo è la migliore musica esistente mentre il resto fa tutto schifo. Così non si fa altro che alimentare un meccanismo asfissiante verso chi non lo merita e dare vita alla propria convinzione al di là della realtà dei fatti che va in tutt’altra direzione.

Oltre a dare ancora più spazio ad un mercato mercificatore che continuerà a danneggiare chi non vuole piegarsi a determinate logiche. L’utenza è vittima, in un certo senso. Ma questa è un’altra storia.

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