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Oggi andiamo a toccare un altro spinoso argomento. La chiusura di innumerevoli locali per la musica dal vivo. Vero è che la pandemia ha messo in ginocchio per poi ‘giustiziare’ moltissimi esercizi. D’altra parte, tuttavia, esiste una crisi che va avanti da diversi anni. E non è solo una questione economica. Forse è più un fattore generazionale. Come detto in altre occasioni, ogni generazione ha la propria musica. Per diverso tempo le nuove leve non hanno avuto una colonna sonora rock. Però questo, comunque, non spiega il perché delle serrande abbassate. Dicendola in modo semplicistico, sarebbe stato conveniente per i gestori cambiare direzione e chiamare artisti emergenti del genere del momento per rimanere aperti. Eppure non lo hanno fatto. Non credo non ci abbiano pensato.

Davvero il senso di coerenza, di appartenenza è stato così forte da far preferire la chiusura all’aggiornamento? Non essendo esercente non posso rispondere. Da osservatore posso dire che la cosa un po’ mi perplime. Ho visto diversi locali adattarsi ai cambiamenti. Il che non è un male. La vita va avanti, per fortuna. Le cose mutano. Il riuscire a stare in piedi in mezzo alla tempesta non significa per forza tradire se stessi. Certo, si è legati ad un certo ambiente, ad un determinato settore, ma si è anche persone d’affari. Ciò non significa che il profitto viene prima dei principi.

Significa solo cercare un’altra strada per non farli morire quei principi. Magari i modi per mantenere in piedi due anime distinte e separate c’erano. Perché non utilizzarli? Prima di scatenare polemica, so perfettamente che il discorso è molto complesso. Non voglio certo banalizzare. Restano in ogni caso degli interrogativi. Si dice che è diminuito il pubblico ai live. Per questo molti locali hanno dovuto chiudere. Bene. In seguito, molte persone si sono lamentate della chiusura dei locali. Una contraddizione in termini. Dove erano quelle persone mentre le sale concerto erano vuote?

In seconda battuta, quali sale concerto si sono svuotate? Quelle del rock? Perché, a ben vedere, i concerti di molti altri artisti underground appartenenti ad altri generi, erano pieni. Poi, non è che le persone non sono più andate a sentire musica dal vivo perché era sempre la stessa? ovviamente in questo frangente si parla di cover. A complicare la situazione ci si mette anche il contesto generale di ostacolo alla musica indipendente: non viene trasmessa. Questo inevitabilmente porta alla non diffusione e alla non conoscenza di nuove band. Infinite volte ho sentito le parole ‘non esce nulla di buono’ quando decine di band avevano appena pubblicato dischi pazzeschi.

Ma se non si sentono da nessuna parte, nessuno li conoscerà. Esiste poi un’altra sfaccettatura. Quei locali che, indomiti, direi a questo punto, hanno resistito per poi riprendere una programmazione fuori dall’andamento commerciale, come ci sono riusciti? Una domanda cui solo loro possono rispondere. Certo, dire che la sola passione li abbia condotti fuori dal tunnel, forse come risposta è un po’ debole. Passione si, ma sempre con i piedi per terra. Ahinoi ci sono anche i conti da fare. Quindi? Come hanno fatto e perché, tenendo presente il contesto, hanno deciso di riaprire ripartendo da dove avevano interrotto? Mille domande per una manciata di risposte.

A ben vedere neppure esaustive. Questo perché sono talmente tanti i fattori che hanno influito che non si può parlare di uno determinante. Allo stesso modo non è solo scelta dettata dalla situazione. Come non è responsabilità solo dei gestori o solo del pubblico. Da una parte c’è, probabilmente, la paura di rischiare, da entrambe le parti. Dall’altra un senso di insoddisfazione generale che ha spinto a disertare i concerti. È, in ogni caso, un cane che si morde la coda. Una cosa è certa. Se qualcuno ce l’ha fatta lo si deve solo che ringraziare per la costanza e la lungimiranza. Per chi invece ha abbandonato, è come se se ne fosse andato un pezzo di cuore, di anima, di storia. Per tutti un solito monito, resistiamo e combattiamo.

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