classici

L’eccessiva reverenza riservata ai classici.

Siamo abituati che i così detti classici, ovviamente parliamo di rock/metal, sono intoccabili. Guai a dire che tizio o caio o il disco tal dei tali di sempronio non ti piace. Subito diventi quello che non capisce nulla, non apprezza, ascolta musicaccia. Ma davvero è così? Davvero ogni cosa pubblicata dalle band diventate iconiche, è perfetta o, comunque, incriticabile? Personalmente non penso sia così. Anzi.

Sono innanzitutto musicisti come mille altri. In quanto tali anche a loro può capitare di fare degli scivoloni o pubblicare materiale no particolarmente ispirato. Perché non lo si può dire? In virtù di ciò che rappresentano? Della loro storia? O di che che cosa? Anche da questo punto di vista c’è qualche appunto da fare. Tizi non si tocca perché ha fatto la storia. Parliamone. Ha fatto la storia perché? Perché è riuscito a cambiare il corso degli eventi, ossia ad influenzare ciò che è arrivato dopo di lui?

O di loro se parliamo di una band. Oppure è iconico perché ha inciso un particolare disco divenuto simbolo? E, in questo caso, chi è intoccabile, la band o il disco? È il disco ad essere una dimostrazione dei genio dell’artista o è l’artista ad essere un genio perché ha scritto quel disco? Se non lo avesse inciso, sarebbe stato comunque un artista di riferimento? Tutte domande cui non si può dare una risposta ma che bisogna porsi nel momento in cui ci si riferisce a qualcuno come un classico.

Non siamo neppure riusciti a trovare una risposta al quesito: perché gruppi storici sono intoccabili? Se andassimo a togliere tutto il contorno, troveremmo dei semplici musicisti. Ora, se questi musicisti li considerassimo underground, come vedremmo i loro dischi? Sarebbero ugualmente gioielli rari o si perderebbero tra altre migliaia di pubblicazioni? Ergo, perché non trattare anche i big alla pari di tutti i musicisti più o meno famosi? Perché sono migliori? E perché? Sono più preparati?

Non è detto. Sono più bravi? Neppure è detto. Quindi? La riposta è che non esiste nessun motivo per cui i big non possano essere trattati come ‘tutti gli altri’. Ben inteso, sia in senso positivo sia in senso negativo. Ossia, non possono neppure solo essere criticati per trovare delle pecche nel loro lavoro. Critiche che tendono solo a dire: visto che non meriti di essere dove sei? Tante altre volte si è tolleranti perché si deve tenere presente che il tal gruppo ha fatto la storia incidendo il disco Y.

Vero, ma tanto basta a renderlo intoccabile? Quanti sono i gruppi che hanno nella loro discografia più di un capolavoro? Oppure una evoluzione tale per cui davvero hanno segnato la storia? Pochissimi. Tante volte i capolavori sono anche frutto di un progetto ben preciso. Nati per vincere. L’atteggiamento di reverenzialità è, ahinoi, più tipico nel rock che in qualsiasi altro genere. Guai ad azzardarsi a dire che una certa band è finita, che sono anni che avrebbe dovuto smettere.

O, peggio ancora, che addirittura non piace. Ancora, che l’ultimo disco è banale. La prima reazione è quella di chiedere, tu chi sei per dirlo? Quando invece, la critica è rivolta d un gruppo indipendente, è accettata. La prima argomentazione in difesa alla critica è: si, ma quel gruppo ha scritto quel disco che lo ha reso famosissimo. Vero, ma si può viviere di rendita per un’intera carriera? Intendiamoci, il capolavoro è tale ed è difficile da ripetere. Tuttavia esiste un aspetto che si chiama evoluzione.

Di capolavoro, se quel disco non è stata fortuna, ne posso scrivere un altro cambiando modalità espressiva. Qui si insinua un nuovo argomento che riguarda gli ascoltatori. I fans si aspettano da me una certa cosa e non posso deluderli. La domanda è: non posso deludere gli ascoltatori o non posso deludere il mercato? Sono due cose ben distinte. Chi mi ascolta e mi apprezza, mi seguirà. Gli altri, in ogni caso, all’arrivo di un nuovo fenomeno, mi lasceranno dove sono, se non evolvo.

Credo sia frustrante anche per le band il sentirsi ‘costrette’ a proporre dal vivo sempre le stesse cose. Vado al concerto di tizio perché voglio sentire la tal canzone. Se non la suonano è un concerto brutto. Credo non sia una formula condivisibile. Corro al concerto di caio perché mi piace la sua musica, indipendentemente dal fatto che suoni o meno certi pezzi. Agli inizi degli anni 90 andai ad un concerto dei Red Hot Chili Peppers. Tour di Blood sugar sex magic.

Non suonarono Under The Bridge. Frusciante non riusciva ad eseguire l’arpeggio. Fu un brutto concerto per questo? Assolutamente no. La band era in piena forma. Furono trascinanti, coinvolgenti, divertenti. Una serata da ricordare anche per la canzone mancante. Tutto ciò per dire che se considerassimo i classici come semplici musicisti e non come dei semidei, avremmo maggiore libertà nel poter apprezzare anche produzioni più recenti consapevoli che potrebbero anche migliori.

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