underground

Approfondiamo l’argomento lanciato con il post Cartellino giallo. Lo spunto lo dà il riscontro dello stesso e, soprattutto, i commenti. La prima conclusione che si può trarre è che davvero il nemico numero uno dell’underground è se stesso. Se stesso nelle figure delle band. Il problema della scarsa risposta di queste agli stimoli è quindi atavico e, apparentemente, irrisolvibile. Molti, per non dire tutti, di coloro i quali lavorano per l’ambiente ci hanno provato, ci stanno provando. Senza risultati efficaci, pare. Io provo a dare i miei two cents. E pongo la domanda: non è che stiamo sbagliando approccio? Pensiamoci.

Essere un artista underground non significa pubblicare un singolo, un disco, un video e lasciarli li. Significa entrare a far parte di un mondo ben preciso. Un mondo che crea cultura. Lontano dai riflettori, ma sempre cultura è. Che cosa contraddistingue l’underground dal resto allora? Io penso innanzitutto il decidere di non accettare compromessi. Se voglio vendere devo fare musica di un certo tipo. Non voglio. Ho voglia di dire la mia a modo mio senza che nessuno interferisca. Giusto e sacrosanto. Questa scelta, però, come tutte le scelte, porta con sé delle responsabilità.

Conseguenze che devo accettare e di cui devo farmi carico. Da quelle più semplici, il nome che voglio utilizzare, la grafica, il creare profili, magari un sito. A quelle più impegnative. L’interfacciarmi con chi organizza concerti per poter suonare, ad esempio. In un unica frase il famoso do it by yourself. E questo comprende anche il modo con il quale decido di far conoscere la mia musica, la mia arte. È impensabile incidere un disco, fare sacrifici, investire tempo e denaro per poi lasciarlo li.

Non credo esista nessuno al mondo che faccia arte per tenersela nel cassetto. Assodato ciò, devo fare i conti con queste conseguenze. Devo decidere quanto tempo dedicare a tali incombenze. Certo, in base alle mie possibilità. Ma devo farlo. Mi trovo in un mondo popolato da moltissime persone come me. Da miriadi di band e artisti che producono lavori di diverso tipo e alto livello. Come posso pensare di farmi notare se sto fermo? Secondo quale logica posso pensare che il locale tal dei tali o il tal altro organizzatore di concerti mi debba venire a bussare alla porta per farmi suonare?

Solo perché tutti i miei amici dicono che sono bravo? Forse non basta. Probabilmente se portassi qualcosa di più ‘concreto’ potrei avere più possibilità anche di essere contattato. Se io fossi un organizzatore di concerti la prima cosa che farei sarebbe pensare alle band di cui ho sentito più spesso il nome. Poi andrei in rete ad ascoltare quello che fanno, se non le ho mai sentite. Ma il primo passo è fare una cernita dei nomi che girano.

E girano o grazie alla qualità dei dischi, o grazie ad una buona comunicazione. Con molte probabilità lascerò fuori gruppi validissimi per il semplice fatto che non trovo i loro nomi. E la responsabilità non sarà mia ma del gruppo stesso che non ha investito tempo nel promuoversi. Ripeto, è un impegno. È anche, però, la prima conseguenza della mi scelta di entrare a far parte del mondo underground. Verissimo, non tutti hanno la possibilità di poter spendere soldi per un ufficio stampa.

Ma non mi venite a dire che nell’entourage dei gruppi non esiste una persona capace di creare un volantino, di fare un post, di fare delle foto decenti. Il tutto, a costo zero. Nessuno verrà a giudicare il lavoro fatto perché è il nostro modo di esprimerci. Se crediamo che tutto ciò che una band fa sia il meglio che si possa fare, siamo fuori strada. Tantissimi gruppi hanno nomi e moniker molto discutibili. Ma sono i loro. Fanno parte della loro personalità.

Esiste, quindi, un modo per cercare di ottimizzare tutto questo impegno? Certo, si chiama collaborazione. Se io non sono in grado o non conosco nessuno che possa farmi il logo quello che faccio è chiedere agli amici di indicarmi qualcuno o magari di presentarmi a chi ha lavorato con loro. Viene da sé che possa, per non dire deve, essere un lavoro pagato. E non si parla di cifre astronomiche. Con l’idea di incidere un disco, di pagare per farlo, la divisione di pochi euro per il logo potrebbe essere ininfluente.

Capiamoci, non si stanno facendo i conti in tasca a nessuno né si sta indicando il cosa si deve fare. Si tratta di possibili soluzioni per un problema che esiste. Il rivolgersi ad un estraneo può essere il volano per creare un circolo virtuoso. Come l’ho ingaggiato io, lo potrebbero fare anche altri. Perché? Perché lavora bene a prezzi giusti. Ecco un altro aspetto che ritorna spesso come problematica. I soldi, la mancanza di questi o il pensare che siccome sono un artista underground devo fare tutto gratis e senza spendere una lira. Non credo esista al mondo una situazione di questo genere.

Anche se mi autoproducessi non lo farei gratis. Bolletta della luce, attrezzatura necessaria, ore spese per imparare come si fa, sono tutti costi. Il tempo ha un valore. Se facessi davvero tutto gratis, perché allora dovrei vendere i cd? Perché non regalarla la mia musica? Per quale motivo non dovrei andare in giro a suonare gratis? In base a che cosa mi dovrei chiedere soldi se vado a suonare nella mia stessa città?

O forse, quello che faccio in quel momento è il risultato di un cammino e quindi va giustamente pagato? Non sto forse lavorando? Dal mio punto di vista sono tutte riflessioni che un gruppo dovrebbe fare prima di decidere di incidere. Essere underground non significa non sapere come muoversi per farsi conoscere. Il cambiamento di tale atteggiamento da parte delle band darebbe anche un senso diverso a chi si impegna per farle conoscere. Il postare decine di video non vuol dire necessariamente portare a conoscenza delle persone determinati gruppi.

Se ne posto 10 al giorno senza una parola, senza un richiamo, senza il coinvolgimento diretto degli interessati, tutto si perderà a fine giornata senza raggiungere lo scopo. Se, invece, ci fosse collaborazione, tutto avrebbe più senso. Il bello è che è già tutto nelle nostre mani. Basterebbe solo accordarsi su come ottimizzare l’impegno di tutti.

In che modo? Sentendoci comunità, prendendo atto che siamo un solo grande mondo all’interno del quale valgono le regole dell’universo che ci circonda. L’essere underground non ci esime dalla conoscenza di determinate dinamiche. Il solo pensarlo ci blocca. La partecipazione di tutti alla vita dell’underground gli farebbe fare un enorme salto di qualità. Vero, si tratta di spese. Il lavoro deve essere pagato.

Diversamente si torna alla domanda precedente: perché le band non suonano gratis? Ma sono spese che possono essere più che sostenibili se inserite in un progetto più ampio e condiviso. Soprattutto, sarebbe un modo per riuscire ad interessare anche persone estranee, magari attirate semplicemente da un evento. Ma dobbiamo impegnarci tutti allo stesso modo. In alternativa credo sia piuttosto naturale e ovvio che qualcuno possa rimanere indietro. Possibilmente senza lamentarsi. Una possibile soluzione secondo me è questa. Collaborare, collaborare ognuno secondo le proprie possibilità, ma farlo tutti.

L’altra scelta è rimanere bloccati in queste sabbie mobili senza possibilità di salvezza. Questo come conseguenza renderebbe vani gli sforzi di tutti, in particolar modo di chi nella cultura underground ci crede e sono anni che si attiva per farla crescere. Non mancano operatori di settore, uffici stampa, grafici, fotografi, videomaker e chi più ne ha più ne metta. Mancano le band. E questo non va bene. È il solo motivo che potrebbe giustificare la decisione di smettere di cercare di dare una mano a qualcuno che in realtà una mano non la vuole. Come diceva qualcuno: a grandi poteri corrispondono grandi responsabilità. E noi di grandi poteri ne abbiamo a bizzeffe.

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