Intervista raccolta da Carmine Rubicco

Poco più che trentenne, autore radiofonico, attore teatrale e regista cinematografico, diversi riconoscimenti e premi di livello, come il Taormina fil fest, all’attivo. Il catanese Elio Sofia non si fa mancare nulla. In questa intervista a Tempi Dispari racconta del suo L’ultimo metro di pellicola, lungometraggio ormai targato 2015 ma ancora attuale e sentito. Un gesto d’amore, come asserisce lo stesso regista, verso il cinema e verso la Sicilia. Ma non solo, si parla di crisi creativa e di sequel. 

  1. Da dove nasce la necessità di un film come L’ultimo metro di pellicola?

    Nasce dall’esigenza di capire cosa c’è stato prima e dove si andrà; fin da piccolo sono sempre stato molto curioso di sapere ciò che mi ha preceduto e quindi quando ho conosciuto questo mondo fatto di pellicole accatastate, tavoli di verifica, proiettori e proiezionisti è stato per me naturale iniziare a fare loro delle domande sul loro lavoro e sulla propria esperienza, è stato come aprire un vaso di Pandora fatto di ricordi e aneddoti che necessitavano a quel punto di essere documentati e diffusi, a testimonianza del cinema che fu.2.      Lei ha dichiarato che il suo film è “un atto d’amore” verso il cinema. Trova che il cinema contemporaneo manchi di questo sentimento, sia da parte di chi lo fa sia da parte di chi ne usufruisce?

    Ritengo che i produttori osino meno rispetto al passato e che cerchino di assecondare il più possibile il pubblico nei loro gusti mentre manca rispetto al passato un’educazione del pubblico al nuovo, ragion per cui i film sembrano un po’ tutti uguali. Mi chiedo sempre se i registi facciano veramente i film che sognano di fare o invece subiscano in un certo qual modo il sistema di mercato. Io sicuramente libero e indipendente non avendo un produttore a sostegno ho potuto fare il film che “sicuramente volevo”, magari se avessi avuto un produttore forse lo avrei fatto anche “come lo volevo”; ma avrei potuto anche subire un certo compromesso produttivo per venire incontro al gusto del pubblico.

    3.      Il film evidenzia ‘la parte umana’ del cinema, quella che sta dietro le quinte dopo la pubblicazione di un lungometraggio. Trova il cinema attuale deumanizzato?

    Sicuramente il cinema di un tempo in tutte le sue fasi e in tutti i suoi reparti era esaltazione di un lavoro artistico ma anche di un lavoro tanto artigianale; l’artigianalità del cinema sta venendo sempre meno a seguito della digitalizzazione di tante fasi e di tanti aspetti della filiera cinematografica; le scenografie digitali se è vero che sono comunque frutto di una elaborazione artistica, non hanno però quell’elemento artigianale che le caratterizzava in passato e così via. Fin quando non sarà deumanizzata anche la creazione artistica dell’idea di un film diciamo che c’è speranza.

    4.      Al di là del discorso economico che rende il digitale più conveniente, dal suo punto di vista la pellicola è destinata a scomparire o potrebbe seguire il medesimo percorso del vinile, anche questo dato per spacciato ma tornato prepotentemente in auge anche come sinonimo di qualità?

    Sono convinto che diventerà una scelta di tipo stilistico quello di girare in digitale o in pellicola, come dice il regista e autore della fotografia Daniele Ciprì nel mio documentario, dipende da come uno pensa; l’immagine in pellicola è un falso che sembra reale mentre il digitale è un reale certe volte talmente eccessivo nella sua perfezione da risultare finto. Quindi lunga vita alla pellicola e speriamo che ci sia il modo di renderla accessibile in termini di costi e sviluppo oltre che di approvvigionamento.

    5.      L’utilizzo della pellicola non razionalizza, da un certo punto di vista, la produzione di un film? Ossia la coscienza di evitare lo spreco non aiuta ad avere idee più chiare quando si gira?

    In passato e nelle grandi produzioni non ci si poneva mai il limite del consumo di pellicola, in produzioni più low cost o in quelle che vedevano divergenze forti tra produttore e regista a quest’ultimo veniva intimato di portare a termine il lavoro altrimenti non sarebbe stato fornito nemmeno di un metro di pellicola; pensiero che poi ha dato il titolo al mio film; questo sicuramente dimostra un po’ il senso del limite dato dalla fornitura di pellicola. Oggi il digitale ha sicuramente abbattuto i costi di consumo e allungato i tempi concessi nel girare ma rimangono ben altri costi di produzione che pendono sempre sulla testa di un regista che deve sempre confrontarsi con i tempi/mezzi economici messi a disposizione dalla produzione.

    6.      Nella presentazione del film lei afferma che l’uso del digitale non va di pari passo con l’emergere di idee. Il cinema, nonostante i nuovi mezzi, è a corto di idee?

    Forse le idee ci sono ma non viene data possibilità agli autori di poterle esprime al loro meglio e portarle sul grande schermo, io forse a torto, comunque non voglio rassegnarmi ad un cinema italiano fatto o di film indipendenti validissimi che vanno in pochissime sale e di cinepanettoni scadenti che monopolizzano gli schermi cinematografici.
    Occorre “rieducare” il pubblico dotandolo di strumenti idonei alla fruizione di prodotti diversi e scommettere di più sulla volontà e sulle idee dei giovani autori; all’estero ci sono fior fiori di giovani autori che girano film con budget che noi ci sogniamo soltanto.

    7.      Come la digitalizzazione della fotografia ha creato una schiera infinita di fotografi, la digitalizzazione dei video ha creato infiniti registi o video maker provocando spesso un abbassamento di qualità o un appiattimento creativo. Cosa manca secondo lei al cinema attuale per poter uscire da questa empasse?

    Ritengo che manchi l’Emozione e la Ragione. Non puoi pensare di rifare Titanic usando una reflex e non puoi usare migliaia di euro spesi in attrezzature per girare prodotti privi di Emozione e comunque scadenti. Occorre usare la ragione per comprendere i limiti della propria attrezzatura e piegare la propria idea agli strumenti a disposizione e poi riempire il tutto con l’emozione che per me consistere nel mettere il cuore in quello che si fa. Troppa tecnica sterile non serve a nessuno, stessa cosa per lavori che vorrebbero essere di forte impatto emotivo e poi risultano addirittura demenziali senza volerlo. Io non mi ritengo né un videomaker né un filmmaker, mi ritengo uno che vuole raccontare delle storie, forse oggi si è persa la possibilità di definirsi semplicemente autore.

    8.      Da più parti si lamenta una crisi creativa che sta portando alla mera riproposizione di vecchie pellicole riadattate ai nostri giorni. Dalla sua esperienza e da ciò che lei vive, questa crisi esiste o ci sono nuove leve degne di nota?

    Quello dei remake è una costante nella storia del cinema fin dai tempi del muto, diciamo che è un evento che ciclicamente si ripresenta; ma è anche vero che ci sono film di incredibile novità che pescano comunque nel passato. Quentin Tarantino tra tutti è stato il grande regista che ha rielaborato tutta la sua vasta conoscenza cinematografica trasformando i suoi lavori in continui omaggi al passato. Ultimamente due esempi su tutti secondo me sono degni di nota e sono il bellissimo lavoro seriale fatto per Netflix dai fratelli Ross e Matt Duffer (fratelli gemelli nati nel 1984) con il loro tributo al cinema anni ’80 fatto con Stranger Things e l’altro è una pellicola cinematografica che ha avuto il coraggio di mettere insieme per bocca del suo regista Jordan Vogt-Roberts (anche lui nato nel 1984) un mostro cinematografico come King Kong e di collocarlo nel bel mezzo di Apocalypse Now per creare il film Kong: Skull Island. Per il resto purtroppo soprattutto in Italia si assiste ad una contrazione del mercato produttivo che speriamo riesca ad invertira la propria rotta e a portare nuovi nostri talenti alla ribalta internazionale. Ovviamente in un sistema come il nostro riuscire a mettersi in mostra, avere credito e credibilità sono imprese assai complicate che scoraggiano molti vanificando i tanti sforzi e sacrifici fatti; certe volte girare un film impiega meno tempo che trovare un produttore prima e un festival o un distributore dopo disposti a proiettarlo.

    9.      Una domanda che non le hanno mai rivolto ma che le sarebbe piaciuto le venisse proposta?

    “Come possiamo aiutarla?” Sembra banale ma trovare persone disposte ad aiutare il prossimo se ne trovano sempre meno, i nostri egoismi ci portano via dalle relazioni anche di semplice cortesia facendoci diventare sempre più aridi. Lo spirito di condivisione è un qualcosa di fantastico e di contagioso, perché non sfruttarlo? Tante volte le invidie trasformano le persone in esseri davvero piccoli.

    10.   Se avesse una macchina del tempo, con chi le piacerebbe avere uno scambio di idee?

    Avrei voluto parlare di sogni lucidi con Federico Fellini, capire insieme quante vite diverse si possono vivere una volta che ci abbandoniamo alle braccia di Morfeo e come riuscire a difendere dal mondo circostante “l’eterno fanciullo” che è in noi.

    11.   Cosa si sente di dire o consigliare ai giovani cineasti di oggi?

    Di guardare e vivere ogni singolo istante in maniera attiva e non in maniera meccanica o passiva. Un sorriso rubato per strada da bambini potrebbe tornarci utile come scena conclusiva di un nostro film, occorre averlo vissuto a fondo con emozione per immagazzinarlo nella nostra memoria e richiamarlo al momento più opportuno per utilizzarlo a nostro favore.

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