stilema

Gli Stilema sono una folk metal band capitolina. Si sono recentemente esibiti al VHelleFest di Velletri. In questa intervista si raccontano, esplicano il loro concetto di underground e cosa significa per loro suonare dal vivo. Il rapporto con i fan e l’evoluzione del mondo della musica. Tutta da leggere!

Rispondono il vocalist Gianni Izzo e il chitarrista Federico Mari

Una presentazione per chi non vi conosce

Gianni: Gli Stilema sono una band della provincia di Roma, abbiamo cominciato suonando prevalentemente in acustico, univamo l’Irish folk al cantautorato italiano. Siamo andati avanti così per qualche anno, poi per diverse difficoltà abbiamo ceduto il passo. Nel 2016, Federico mi ha chiamato chiedendomi di dare un’altra occasione alla band, ma introducendo questa volta tutte le cose che amiamo nella nostra proposta musicale. Da appassionati di metal è stato abbastanza facile trasformare quell’acoustic folk in folk metal.

Nel 2017 abbiamo autoprodotto il primo Ep “Ithaka”, e nel 2020 è uscito per la Hellbones Records il nostro primo full-lenght “Utòpia”. Abbiamo suonato un po’ dovunque, persino in Polonia dove, nonostante il cantato in italiano, ci hanno accolto in modo davvero caloroso. Lo scorso anno abbiamo avuto la possibilità di aprire per i simpatici e bravissimi Nanowar Of Steel in quel di Bari. Al momento stiamo lavorando su nuove canzoni che sentirete al più presto, un inedito in inglese lo suoneremo al VHellFest il primo luglio.

Entriamo subito nel merito dell’intervista: per qualcuno la musica live sta morendo. Cosa ne pensate?

Federico: Dopo le chiusure del recente passato, noto una gran voglia di organizzare, suonare ed assistere ai concerti. Questo almeno per il mainstream o giù di li. Temo invece che nell’underground, nel metal in particolare, il mercato sia un po’ saturo: ci sono migliaia di band che giustamente vogliono proporre la propria musica, e se da una parte questo aumenta l’offerta, dall’altra si ha difficoltà a trovare occasioni per suonare e spesso capita che in serate condivise, i musicisti che si alternano sul palco siano più numerosi del pubblico.

Percepisco un po’ di stanchezza e di disillusione da parte dei musicisti e degli ascoltatori e questo fa sì che le proposte più originali e valide talvolta passino in sordina. Questa cosa non l’abbiamo notata all’estero dove per fortuna l’esperienza del live è ancora considerata un’occasione speciale e non si ha diffidenza alcuna nei confronti del nuovo.

Che cosa vuol dire per voi suonare dal vivo?

Federico: Come per molte altre band, è il motivo principale per cui suoniamo! Crediamo molto nello scambio di energie e nella comunicazione col pubblico! Vedere ragazze e ragazzi che durante le nostre esibizioni ballano, pogano e si divertono, pur ascoltandoci per la prima volta, è una sensazione di impagabile soddisfazione!

Perché avete deciso di prendere parte ad un festival?

Federico: Nel caso specifico si tratta di un impegno che speriamo riesca a contribuire alla causa per cui è nato. Ed in generale i festival sono meravigliose occasioni di confronto costruttivo e di divertimento 

Gianni: La nascita del VhellFest ha un fine talmente importante che dare la nostra disponibilità ci è sembrato ovvio. Se semplicemente suonando possiamo persino dare una mano a chi deve affrontare un terribile male come il piccolo Noah e la sua famiglia, siamo onorati di farlo. Personalmente ogni live, che sia un festival o una semplice serata, è un modo per divertirsi, ma anche apprendere dalle altre band che suonano con noi. E’ un’occasione di crescita continua.

Secondo la vostra esperienza, come è cambiato il pubblico?

Federico: In ambito underground, quasi tutti gli ascoltatori adesso sono anche componenti di altre band e questo crea a volte un sentore di freddezza perché ci si lascia andare di meno ad un ascolto di sentimento. Ma poco male, quando capita cerchiamo di lasciarci andare di più noi! Divertirsi e divertire è essenziale!

Gianni: All’estero ho visto che ancora oggi non importa chi suona, l’importante è passare una bella serata. Qui da noi, ci si alza facilmente dal divano per i nomi noti, forse per una brava cover band, mentre c’è una sorta di moria continua per band poco note che suonano pezzi originali. Forse il pubblico italico di oggi è un po’ troppo conservatore.

Vedete un cambio generazionale?

Federico: No! Siamo tutti giovani… ad libitum!

    Gianni: Dobbiamo aspettare di vedere se le band di oggi saranno brave a durare come quelle di ieri. A livello artistico sicuramente ci può essere un cambio, c’è parecchia roba interessante in giro, ma se vedi i vari festival, giganteggiano ancora Iron Maiden, Metallica, e così via. E’ ovvio che le persone negli anni si affezionino, e se le band storiche rendono dal vivo nonostante l’età, continuano a dettar legge, il cambio generazionale sarà dettato inesorabilmente dallo scorrere del tempo.

    La difficoltà maggiore del suonare dal vivo?

    Federico: I trasporti!

    Gianni: I trasporti, soprattutto se al viaggio ci pensa il nostro Federico. Per suonare a Velletri partendo dalla nostra Ladispoli, è facile che faremo un attimo una deviazione a Cuneo…
    Per quel che ci riguarda, la musica purtroppo non è la nostra fonte di reddito, dobbiamo affrontare una serie di ostacoli infiniti: trovare il giorno in cui tutti possiamo prenderci un permesso dai nostri lavori, farlo coincidere con il giorno datoci dal locale. Far coincidere poi il tutto con le esigenze dei musicisti delle altre band coinvolte, e sperare che nessuno di questi ingranaggi salti. Una cosa davvero stressante.

    Cosa manca ai concerti, pubblicità, supporto del pubblico o cosa?

    Federico: In realtà degli ingredienti che hai citato non credo manchi nulla. La difficoltà è solo questa: c’è più offerta rispetto alla domanda

    Gianni: Il problema è che in ambito underground, facciamo tutti il possibile, ma ovviamente il nostro è tutto un fare nel piccolo delle nostre possibilità. Finché il resto del mondo guarda continuamente da un’altra parte, puoi fare i salti mortali, ma rimarranno salti mortali per pochi. Dovremmo cercare un modo di attirare l’attenzione anche da questa parte del mondo, la gente neanche immagina quanta buona musica ci sia in giro.

    E non parlo solo dell’underground tout court, pensa quanto sia assurdo che gruppi come Lacuna Coil, Rhapsody, Elvenking, Wind Rose girino il mondo con i loro tour, che i loro dischi entrino nelle classifiche degli altri paesi, mentre la maggior parte dei ragazzi italiani non ha neanche idea di chi siano. Manca soprattutto una vera e propria cultura musicale qui da noi.

    Una band per cui vi piacerebbe aprire?

    Federico: Riflettendoci, ci vedrei bene ad aprire ad una band come gli Amorphis! 

    Gianni: Penso anche agli Orphaned Land, ma potrei continuare per parecchio: Mago De Oz, Iron Maiden. Ma anche quelle che ho citato nella risposta precedente.

    Una che vorreste aprisse per voi?

    Federico: Qualsiasi k-pop boy band!

    Gianni: Ehm…gli Iron Maiden? Seriamente, se avessimo la fortuna di accaparrarci abbastanza popolarità, penso che le prime band che vorrei portarmi dietro sarebbero proprio quelle del nostro underground che considero meritevoli di attenzione.

    Il vostro concetto di underground?

    Federico: Un calderone da cui possono nascere capolavori

    Gianni: Oggettivamente è un “microcosmo” che, come ogni altro, ha tutte le sfaccettature possibili. Ci sono degli artisti fenomenali, ma anche mediocri, ci sono tante amicizie vere, tante finte, tanti paraculi. Forse la più grande bellezza dell’underground è che hai totale libertà di espressione attraverso la tua musica. Ma è anche un limbo in cui dei musicisti straordinari devono sbattersi davvero tanto per riuscire ad emergere, per superare quel muro che li circonda, che forse li preserva dalle tentazioni del successo “facile” ma nondimeno li imprigiona in sé stessi.

    La sua ‘malattia’ peggiore? La cura?

    Federico: La stanchezza e il fatto che non sia più un mito: le band underground non vogliono mica essere underground! Vogliono sfondare! Non so se esista una cura e neanche se ce ne sia bisogno, ma nel movimento, se così lo vogliamo chiamare, la solidarietà e la correttezza reciproca sono fondamentali per farne parte adeguatamente.

    Gianni: Sa troppo di far west. Si rischia spesso di entrare in inutili competizioni, creando una guerra tra poveri che non serve a nessuno. Ci sono troppe agenzie improvvisate, troppi locali che ti pagano in visibilità, troppe band che pensano di poter fare i loro comodi senza subire conseguenze.

    Per dire, mentre suonavamo a Genova ci è arrivata la notizia che la data del giorno dopo a Carpi era stata annullata per un battibecco interno degli headliner. Personaggi che si beano sui social di avere trent’anni di attività sulle spalle, ma che non pensano che con un comportamento infantile hanno danneggiato in un colpo solo, un locale, l’agenzia e le band che venivano da fuori come noi. Insomma un po’ più di serietà da parte di tutti ci dovrebbe essere. La cura: sono pagine come le vostre, gli eventi come il VhellFest, in breve, la cooperazione e non la competizione, ed un po’ di regole più ferree per tutti.

    Una band underground che consigliereste?

    Federico: I piemontesi Lou Quinse ed i bulgari Khanъ

    Gianni: Dopo aver ascoltato la title-track, sto aspettando con fermento il nuovo disco dei Bloodshed Walhalla.

    Una mainstream che ancora vi stupisce?

    Federico: I Jalisse!

    Gianni: Penso che i Jalisse siano tornati da un pezzo nel territorio underground però…
    Da un po’ di anni sono abbastanza preso dagli Avatar, hanno un sound riconoscibile, ma non sai mai cosa aspettarti da loro, non solo tra un album ed un altro, ma anche tra una canzone ed un’altra, possono tirarti fuori un brano con solo piano e voce e subito dopo distruggerti con uno in blast beat. Ed i loro show sono fantastici. Fuori dal metal, Caparezza rimane uno dei miei artisti preferiti, anche lui sa come sorprenderti di volta in volta.

    Una domanda che non vi hanno mai posto ma vi piacerebbe vi fosse rivolta?

    Federico: Nel tentare di fare musica credete di riuscire a far recepire a qualcuno dei messaggi? E quali? Non è scontato che sappiamo rispondere! Ma è importante che chiunque sia implicato in un processo creativo si ponga la questione.

    Se foste voi ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervistereste e cosa gli chiedereste?

    Federico: Di getto, Demetrio Stratos. Gli chiederei “quali prospettive vedi per la musica popolare?” Fingendo di non sapere che fine degradante ha fatto.

    Gianni: Ci hanno lasciato dei giganti, visto che son musicista, andrei sul pratico chiedendo loro di farci una suonata insieme

    Un saluto e una raccomandazione a chi vi legge

    Federico: Vediamoci numerosi il primo luglio a Velletri! È un piccolo gesto, ma molto importante e sarà certamente un immenso piacere! Noi non vediamo l’ora!

    Gianni: Un grazie a voi di Tempi-Dispari, un grazie a chiunque sia arrivato a leggerci fin qui, vi ringraziamo e vi invitiamo a seguirci sulle nostre pagine social di facebook e instagram: stilemaofficial. Dicono che i numeri contano, quindi sentitevi liberi di “followarci”. Speriamo di vedervi numerosi al VHellFest, oltre la musica ed il cibo, c’è un motivo ben più valido per farlo questa volta!
    Stay Folk! Stay Metal!

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