cigno

Disturbante e, per questo, efficace. Questo l’ultimo lavoro di il Cigno, all’anagrafe Diego Cignitti. Un lavoro che definire complesso è riduttivo. Come da stessa affermazione dell’artista, il disco rifiuta e rifugge in ogni sua espressione la forma canonica di canzone. Un po’ sulla scia degli Area. Il nostro però accentua la sperimentazione. Nel disco non c’è una, dicasi, una, sola canzone. I brani sono insiemi, esperienze. Sono inquiete e inquietanti. Cacofoniche alle volte, caotiche. Non si può neppure dire che raccolgano influenze diverse perché sono fatte di sensazioni.

Clangori industriali lasciano il posto a percussioni tribali, suono di sitar, cantilene mefistofeliche. Un mix apparentemente senza senso di suoni e rumori. Apparentemente perché, come è giusto che sia, ogni brano è espressione di un concetto ben preciso. E sono concetti non facili da digerire. Per trovare il primo spiraglio di ‘melodia’ si deve arrivare alla quarta canzone, Y en el monte. Più che una canzone, un canto folkloristico tra musica russa, mediorientale, cori nostrani.

Non esiste un accompagnamento che sia tale. La base è data dal battere ritmico delle mani, dal sitar, dall’oud, dalle percussioni. Un’esperienza, un viaggio nel vero senso della parola. Non mancano poi avventure nel campo dell’elettronica. Quella più dura, più hardcore miscelata a suoni space. Si ascolti Antèchrist per avere un’idea dell’utilizzo dei campionatori. Cassa dritta a 200 bpm si infrange su muri industriali potentissimi e pesantissimi, senza fermarsi fio a metà brano. Qui subentra lo scorcio di recitato di una messa con tanto di coro delle perpetue.

Il brano poi riprende a pieno ritmo fino alla fine dove rallenta e sfuma. In Pax invece è il basso a dominare. Basso iterante come iterante è il suono di un timpano che l’accompagna. L’ipnosi diventa più forte con l’ingresso dei cori. Con questi strumenti ad arco doppiano il basso. Orchestrazioni dissonanti fanno capolino qua e là. L’idea che cresce con seguendo il brano è quella di un film muto sul periodo romano. Il battito iterante rappresenta i passi degli schiavi con la caviglie legate. Le tastiere indicano l’arrivo dei centurioni che li frustano per parli muovere.

Lenti, emaciati, rassegnati gli uomini proseguono il loro cammino senza la minima energia. Fino al silenzio finale. SI torna su terreni che dire accidentati è poco, con Ogochukwu. Brano scritto in memoria di Alika Ogochukwu, 39venne disabile nigeriano ucciso a Civitanova Marche. Si prosegue con la sperimentazione con A frate dolcino vengono amputati naso e pene. I rumori richiamano il dolore che deve aver sofferto il torturato in quel preciso frangente.

Si arriva poi al singolo cui è legato anche un video che segue lo stile della musica. Censure e torture, Stefano Cucchi tra le fiamme. Il martellare della cassa, acustica, un organo in sottofondo, rumori di vario genere, portano ad una svolta più industriale. Questa è caratterizzata da suoni distorti, dissonanti. Il battere di un qualche elemneto resta in sottofondo a mo di battito del cuore. Le due parti si alternano fino alla risoluzione finale in crescendo.

Lamentazioni mediterranee è l’ultimo brano. Sono proprio le suggestioni della musica del mare nostrum a farla da padrone. Sitar greco, cori solo con vocalizzi, suono di onde, percussioni accompagnano in modo inquietante tra i flutti. I cori non sono melodici. Sembrano voci provenienti dagli abissi che chiedono aiuto. Il tutto senza una riga di testo.

La parte riguardante la voce e i testi è stata volutamente lasciata per ultima. Come si può descrivere un contato che non c’è? Per lo più i testi, caustici, di denuncia, abrasivi, in italiano e dialetto, sono recitati secondo quella che è stata la lezione di Pierpaolo Capovilla. Non c’è uno stralcio di melodia. E anche quando è presente è utilizzata in modo completamente inusuale, assolutamente poco consono.

Concludendo. Nulla esprime meglio il concetto di questo disco come le parole stesse dell’autore Cigno:

‘Una psicanalisi sonora della società contemporanea, una soundtrack sotto acido di un canto dantesco, un esorcismo al contrario‘.

E così è, ne più e ne meno. Un disco consigliabile? Sicuramente, ma con riserva. Nel senso che prima di affrontarlo è bene sapere a cosa sta andando in contro. Si deve essere pronti a rivedere se stessi nelle contraddizioni, nelle dissonanze, nei fastidiosi suoni industriali. Si deve essere sicuri di volersi guardare allo specchio sapendo che ciò che vedremo non ci piacerà affatto.

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