Ovvero, la complessità di un disco il cui futuro si appoggia sui gusti personali

Questo disco di Konrad è stato ascoltato, riascoltato e riascoltato ancora. Ogni volte qualcosa non quadrava. Dice o non dice? È un bel disco o no? Partiamo da presupposto che i dischi sono un’esigenza artistica e personale.

Chi li realizza vuole esprimere se stesso, esprimersi attraverso l’arte. Tante volte non si tratta di un dialogo però. Si tratta di un monologo. “Io registro il disco, se a te non dice nulla il problema è tuo che non hai capito la mia arte o non hai capito cosa intendevo dire”.

Non è sempre così. Se così fosse perché mai registrare un disco? Tanto varrebbe scriversi delle canzoni e farle ascoltare a parenti ed amici. O, magari, neppure a loro. Ce le si riascolta onanisticamente da soli, per puro piacere personale. In generale questo Luce non è male. Ha ottimi spunti strumentali, diversi arrangiamenti sono più che convincenti.

Pur tuttavia questi elementi non sono sufficienti a tenere su un disco che troppe volte si perde nel già sentito, sia a livello strumentale sia a livello di testi. Il disco racconta delle vicende personali del nostro ma in cui è difficile identificarsi non per la complessità degli argomenti quanto per la scontatezza.

Purtroppo non è semplice scrivere e descrivere determinati argomenti con la capacità e la forza necessaria. Questo non significa che le canzoni siano brutte. Solo che si perdono nell’infinito mare cantautorale. Ci sono poi dei veri e propri omaggi ad autori nostrani, dai Timoria a Guccini per arrivare a Rino Gaetano e de Gregori. Per certi versi la scelta fatta da Brunori Sas per il suo primo disco.

A proposito di Guccini una cosa non si capisce dal disco. In alcuni brani c’è una fortissima accentuazione sulla erre moscia che Konrad parrebbe avere. In altri invece la caratteristica scompare. Quindi, c’è o no questa erre moscia? Se non è poi così forte, perché accentuarla? Passando ad aspetti più meramente tecnici, il disco è ben prodotto. Risulta essere caldo come sonorità che vanno dall’acustico al rock countryeggiante.

I musicisti sono tutti più che all’altezza anche se nessuno di loro è preponderante rispetto agli altri. I testi si alternano, un po’ in italiano e un po’ in inglese. Quello che si sente è che un disco molto istintivo. Non meditato ma nato da una necessità interiore. Ecco, forse è proprio questo il limite.

Di dischi, o qualsiasi altra produzione artistica, da ‘buona la prima’, ce ne sono davvero pochi. Una maggiore attenzione all’insieme e una maggiore selezione tra i brani avrebbero certo reso il disco più uniforme, con una maggiore personalità e avrebbe dato anche più forza ai testi che non sarebbero stati fagocitati da quelli più deboli.

Nell’insieme si tratta di un buon disco che tuttavia non è per tutti. In questo caso la faranno da padrone i gusti personali più che le ‘distinzioni’ musicali. Certo prima di essere acquistato va ascoltato.

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