Roberto Tiranti

Intervista di Francesca Di Ventura 

“Semplicità e passione ti proteggono dalla vanagloria lusinghiera del mondo della musica”, afferma Roberto Tiranti. E ancora: “La tecnologia aiuta i professionisti, ma legittima anche i non professionisti”

Osservandolo sul flyer della prossima data della sua band, col suo sguardo magnetico e una posa fascinosa, ci si attenderebbe un divo estremamente consapevole dei propri successi, uno cui approcciare col timore reverenziale di far troppo rumore. Invece i grandi sanno stupire per umiltà, semplicità, onestà di intenti e parola. Roberto Tiranti può vantare una carriera musicale di tutto rispetto, invece non se ne vanta affatto. Colpisce la sua proiezione al futuro, e un distacco rispettoso ma lucido dalle glorie che lo rendono tra i cantautori più apprezzati nel panorama Nazionale e Internazionale.

Qual è il tuo primo ricordo in musica in assoluto.

L’autoradio in macchina, con i miei genitori. Queen, Deep Purple, Battisti, New Trolls.

Per cosa vorresti essere ricordato?

Per essere stato una brava persona, uno dei tanti che ha provato a fare qualcosa di buono rimanendo sempre fedele a se stesso e conservando integrità morale. Nella musica vorrei si parlasse di me come di un bravo cantautore, non cantante: di esecutori ottimi è pieno il mondo, quel che fa la differenza è la creatività nel generare musica.

All’inizio della mia carriera, la mia voce mi ha consentito di farmi notare e stavo per cedere alle lusinghe di questo mondo dorato, ma ben presto ho realizzato la verità, compreso che dovevo proteggermi da una realtà che ti fa sentire un dio e il giorno dopo ti ignora.

Nei Paesi anglosassoni il mondo del lavoro è fatto di specializzazione, in Italia spesso risulta vincente il sapersi diversificare e reinventare. Nel contesto musicale paga più la fedeltà ad un genere/progetto o la versatilità?

Personalmente non potrei mai rinchiudermi entro lo steccato di un certo genere: ho bisogno di sfide, di mettermi in gioco, per misurarmi con i miei limiti e la mia caparbietà nel volersi superare. I Labyrinth mi scelsero dopo una mia esibizione a Sanremo nel 1997 con i New Trolls. Seppero vedere al di là della specifica performance, intuire le mie potenzialità in un contesto power/prog metal.

Nella mia carriera ho affrontato di tutto, il lirico, il rock, il pop, il musical. Si cresce solo se si continua a camminare. Oggi più che mai. Qualche anno fa si puntava sulla costruzione di un artista, oggi fai un singolo e se non funzioni vai a casa. Fare qualcosa per piacere agli altri non è per me. Il mio nuovo album ne è un esempio: 5 pezzi elettrici, 4 acustici e 2 vocali. Un lavoro molto vario in cui l’unica nota legante è la mia voce.

Cosa significa fare il cantante in Italia?

Significa essere un professionista non riconosciuto come tale. Nel nostro Paese non esiste un “albo” per i musicisti, e si fatica ancora ad attribuire a tale mestiere la stessa dignità di altri. Sei socialmente riconosciuto un professionista se hai un pezzo di carta o se sei consacrato dalla tv.

Il digitale ha segnato una svolta epocale per la musica, nell’ambito della strumentazione, dei suoni live e ancor più della modalità di produrre dischi in studio. Qual è la tua idea a riguardo.

L’avvento del digitale è certamente da annoverarsi come progresso, ma al tempo stesso paradosso. La tecnologia aiuta i professionisti, ma legittima anche i non professionisti. La semplicità di accesso a tecnologia di supporto alla creazione/manipolazione di musica purtroppo comporta un calo della qualità media della musica fruibile. I mezzi di diffusione poi fanno il resto

Ecco che l’offerta supera la domanda, il mercato si satura e si livella (purtroppo) verso il basso. Diventa anche più arduo per i veri talenti emergere, farsi notare. Ma live non si può mentire, e di fatto oggi la dimensione live è decisamente più impattante sulla carriera di un artista rispetto alla vendita del disco.

Cosa vedi nel futuro per i musicisti in Italia?

Prevedo le difficoltà che la crisi impone in ogni settore con le aggravanti di cui sopra. Si vendono sempre meno dischi e l’artista deve farsi strada tra la disattenzione degli addetti ai lavori e la predisposizione del pubblico a prendere quello che i media dà loro in pasto.

Qual è la meraviglia nel mondo dei Wonderworld.

Ken Ingwersen, Tom Fossheim ed io ci siamo conosciuti a Marzo del 2013 ad Alicante in uno studio di registrazione. Ed è stata subito magia. Quella inspiegabile sintonia artistica che porta alla realizzazione di un disco in 9 giorni. Ad Aprile 2014 sono iniziate le prime registrazioni in Norvegia: la sezione ritmica era pronta in poco tempo.

Per la voce ho preferito lavorare con calma a casa, dove ho tutta la strumentazione necessaria. Ad Ottobre 2014 l’album “Wonderworld” era sul mercato. E stiamo già lavorando al prossimo. Siamo un trio davvero compatto, artisticamente e negli intenti del progetto. Sono molto soddisfatto del riscontro che la nostra proposta musicale -partita come un gioco- sta ottenendo. Fermo restando che la attività di solista è per me fondamentale, e quella di vocal coach, che amo.

Un collega Italiano che stimi in modo particolare.

Rocco Tanica, un idolo prima di tutto, amico poi. Una stima reciproca basata su sani rapporti umani e sulla ammirazione delle capacità artistiche.

Produttore, manager, booking agent, tour manager, ufficio stampa: quale figura è irrinunciabile per una band.

Fino a poco tempo fa tutte, oggi una band può verosimilmente far tutto da sola, attraverso i mezzi di comunicazione e diffusione e costruendosi una rete di conoscenze che passi anche attraverso altre band. Ad ogni modo dovendo scegliere una tra le figure elencate, direi l’ufficio stampa: promuovere in modo sistematico e coerente il proprio prodotto è fondamentale.

Sanremo: citando Richard Benson, “l’inizio di qualcosa o l’inizio della fine”?

Lo si potrebbe criticare per tanti motivi, ma la verità è che Pippo Baudo era davvero un talent scout, e Sanremo in mano sua era un trampolino di lancio verso una carriera. Oggi i concorrenti sono già i vincitori di talent show o comunque sponsorizzati da case discografiche, network radiofoniche potenti, imprenditori discografici. I giochi sono già fatti ancor prima che comincino.

Il peggior errore che una band emergente possa commettere.

Pensare di aver raggiunto l’obiettivo, perché credere di essere arrivati ti fa smettere di andare. Credere di avere dei privilegi, sentirsi migliori degli altri. Bisogna mantenersi umili, onesti e concreti.

Da quanto manchi da Roma e come nasce la data del 16 Marzo.

Ufficialmente manco da Roma dal 2014. La data del 16 marzo a Roma (al Jailbreak Live Club) è stata una idea di Guido Brunetti, leader dei Neverhush, con il quale esiste un’amicizia giovane ma solida. Dal momento in cui ha suggerito l’idea non ha perso tempo e in pochi giorni ha chiuso il deal con il locale. Per ottimizzare il viaggio in Italia di Ken e Tom, vi ho legato una data a Genova. Siamo eccitati al pensiero di suonare nella Capitale e non vediamo l’ora di abbracciare il pubblico romano, che omaggeremo con un duetto tra Guido e me di un pezzo dei Neverhush.

PER INFO:   

https://www.facebook.com/WONDERWORLDtheband

https://it-it.facebook.com/jailbreakrestart

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