Sarneghera

Post hardcore a metà tra Refused e Dillinger escape plane, come correttamente afferma la medesima band. Questo, indicativamente, i bresciani Sarneghera. Ma non solo. I nostri aggiungono alla formula anche influenze psichedeliche e rumoriste. Una vera miscela esplosiva la cui miccia è il cantato. Non viene utilizzata nessuna lingua conosciuta. O, per meglio dire, molte lingue conosciute, usate tutte assieme, compreso il latino. E si, i nostri se lo sono inventato un idioma che li contraddistinguesse. E il risultato è estremamente interessante. Inizialmente spiazzante.

Tuttavia una volta superata la fase del: ma che lingua è? E compreso il senso di tale scelta, tutto ‘fluisce’ in maniera più semplice. Per modo di dire. Si perché il disco resta comunque di non facile ascolto. Post hardcore tecnico, veloce, spesso urlato. È soprattutto l’eterogeneità delle influenze che rende necessari moltissimi ascolti. Le canzoni, di passaggio in passaggio nel lettore, si arricchiscono di suggestioni e sfumarture. Funky, indie, la già citata psichedelia, tutto assieme. Così come i testi sono un gramelot allo stesso modo la è la musica. La sola canzone intellegibile, cantato in italiano, è Prima i terrestri. Qui si apre anche un capitolo di presa di posizione sociale del Sarneghera. Denuncia contro le discriminazioni. La scelta della pangea linguistica, che per i nostri si chiama Smootiesh, ha un suo significato ben preciso. Il tutto nasce dallo strano caso del dottor Vanderlei.

Spiega la band:

ll Dr. Vanderlei è un visionario convinto di aver visto una navicella aliena schiantarsi nelle acque del lago d’Iseo. Ha trovato una strana maschera portata a riva dalla corrente, maschera che si ostina a chiamare l’artefatto proveniente da Altrove. Questa maschera si attiva solo se sottoposta a musica violenta, ritmata e incalzante.

Il Dr. Vanderlei ha ingaggiato un gruppo della zona, i Sarneghera, per produrre questa musica e

ha chiesto a un amico di indossare la maschera per scoprirne gli effetti. Chi indossa la maschera

inizia a parlare una strana lingua senza significato, un gramelot di tutto e di niente che

il Dr. Vanderlei sta cercando di tradurre con foga.

Parla tutte le lingue del mondo ma non ne parla nessuna, ha detto, e ha rinominato la nuova lingua

smoothiesh.

Uno spunto davvero notevole, creativo e suggestivo. Il che si riflette anche nella musica. Il disco apre con Lampara. Il brano è suddivisibile in due parti. La prima, una lunga cavalcata strumentale, in crescendo. È introdotta da un arpeggio di chitarra semi distorto su una base di batteria percussiva. Tempi non dritto, sincopato, accompagna all’ingresso della voce e al primo impatto con lo smoothies. Il brano nel suo evolvere si appesantisce ma senza diventare veloce. È sempre il mid tempo a dettare legge. Scelta azzeccata data la complessità dei ritmi utilizzati. Fino alla fine la canzone è un alternarsi di fasi più ‘diluite’ alternate a sferzate di chitarre hardcore.

Qui il testo è in parte in latino. Proseguono i ritmi percussivi, affiancati da abbondanti dissonanze, nel seguente Larsen attak. La canzone questa volta si attesta su ritmi più sostenuti con diversi stop and go. Ottimi i rallentamenti che offrono la possibilità di avere dei riferimenti all’interno dell’andamento generale. Si giunge quindi a Prima i terrestri. In questo frangente sono i riff di chitarra, almeno nella parte iniziale, a colpire. In maniera differente dai precedenti, sono più funkeggianti.

Per quanto riguarda introduzione e refrain. Diventano in seguito pesanti, martellanti. Una menzione particolare va alla sezione ritmica. In particolar modo alla batteria. Questa è capace di tessere trame davvero fitte, mutevoli, mai banali, tecniche ma con gusto. Davvero notevole. Circa a metà la canzone rallenta dando spazio alla sola sezione ritmica, basso e batteria, per poi risalire con rabbia ed esplodere nel finale urlato in un crescendo molto intenso. Atmosfere complesse anche per la conclusiva Spyrium. Qui fanno capolino riverberi più rock pur dominando dissonanze e tempi dispari.

In conclusione.

Un ottimo lavoro questo dei Sarneghera. Ricercato, volutamente complesso, non di semplice approccio. Difficile dire in quale momento sia più appropriato ascoltarlo. Lasciarlo fluire è forse il modo migliore per riuscire a comprenderlo. Ma lasciarlo girare infinite volte. Davvero bravi. Originali con l’idea della gramelot. Se volessimo trovare una pecca in tutto ciò, è pur sempre un debutto, direi la troppa derivatività in alcuni momenti .La band rende molto meglio quando è se stessa e non quando suona cone qualcun altro. Ma è un peccato veniale che nulla toglie all’ottimo lavoro. Un aspetto che certamente il tempo correggerà.

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