Intervista a cura di Benedetta Lattanzi
Paolo Vallesi torna con un nuovo lavoro, “Un filo senza fine“, contenente il brano che lo ha visto ospite nell’ultimo festival di Sanremo insieme ad Amara, “Pace“. Un album intimo, elaborato, nel quale Vallesi ha inserito le varie anime che compongono la sua essenza, legate da un unico grande sentimento: l’amore. Disponibile in tutti i negozi dal 12 Febbraio, “Un filo senza fine” contiene anche i tre brani storici della carriera di Paolo Vallesi, riarrangiati per l’occasione.

Dopo “Episodio 1”, “Un filo senza fine” è il tuo secondo album dalla ripresa della tua carriera visto che Sabato 17:45 è uscito quasi 20 anni fa ormai.

Sì, ci sono state delle produzioni tra un disco e l’altro, ed era diverso tempo che non facevo uscire un disco fisico. Il titolo infatti non è scelto a caso, Un filo senza fine è un po’ questo filo che immagino mi leghi all’amore per la musica che non si è mai interrotto nonostante non abbia prodotto dischi nuovi.

Ci puoi raccontare a grandi linee come è nato questo lavoro e se il tuo approccio ad esso è stato diverso rispetto ai tuoi primi lavori?

Sì, assolutamente. Questo è un disco abbastanza complesso anche da raccontare perché è un disco composto da molte anime. Ci sono delle canzoni inedite che, come tutte gli inediti, sono state scritte abbastanza di getto nell’ultimo anno. Ho ripreso anche tre canzoni che fanno parte del mio repertorio storico (Le persone inutili, La forza della vita, Grande), c’è una cover di Ivano Fossati…è un disco che ha diverse anime, quindi c’è un approccio diverso perché è eseguito in parte con un’orchestra sinfonica, in un’altra parte è molto più pop addirittura con brani che sfiorano l’elettronica. È un disco molto vario.

Appunto, parli dei tre brani storici che ti hanno fatto conoscere al grande pubblico, tutti con un nuovo arrangiamento. Come mai hai voluto riproporli e perché scegliere proprio un’orchestra sinfonica per “La forza della vita” e “Le persone inutili”?

L’opportunità per riproporli è venuta fuori poiché quest’anno ricorre il venticinquesimo anniversario della pubblicazione di “La forza della vita”, una canzone che è stata riconosciuta dalla Società degli Autori come un evergreen e farà parte in qualche modo del repertorio popolare italiano. Mi sembrava un buon modo per poterla celebrare. Essendo poi stata pubblicata negli anni ’90, è un po’ figlia del suono di quel tempo, arrangiata in un certo modo, e io volevo trovarle una collocazione che fosse al di là della moda e del suono del momento. Con l’orchestra di tipo classico si possono riproporre le canzoni in un modo completamente diverso, collocandole un po’ fuori dal tempo, e non avendo mai rielaborato questi brani mi sembrava bello poterli eseguire in modo diverso.

Con l’orchestra sinfonica hai anche proposto una cover di “Una notte in Italia” di Ivano Fossati, cosa ti lega maggiormente a questo brano?

Questa canzone mi ha dato non solo tanta ispirazione ma anche la voglia stessa di provare a scrivere canzoni. Le emozioni che ho ricevuto ascoltando questo brano in qualche modo mi hanno dato un incipit, una scintilla che mi ha fatto dire “Sarebbe bello riuscire a scrivere canzoni e cercare di comunicare emozioni allo stesso modo”. Per me è un brano molto importante.

Il tema principale di questo album è l’amore visto in tutte le sue sfaccettature, sia amore tra due persone che amore come simbolo di pace, oppure l’amore per ciò che ci circonda. È un sentimento molto importante per te?

Il termine “amore” è un termine davvero abusato, può intendere tutto o niente. Quando cerchi di classificare delle canzoni completamente diverse come “Anima”, la parola amore le racchiude tutte. Ci sono poi canzoni che hanno un tema sociale come “Pace” o “Un filo senza fine”, o canzoni che sono veramente qualcosa di intimo come “I miei silenzi”. La parola amore mette un po’ d’accordo tutti, ma è semplificativa.

La traccia che apre il lavoro è il brano con il quale hai partecipato come ospite all’ultimo Sanremo, e al quale ha collaborato Amara. Parli di una collaborazione vera e sentita, ma puoi raccontarci come è partita questa collaborazione e quale pensi sia stato il contributo maggiore che Amara ha dato al brano?

Amara ha scritto il brano, ci tengo a dirlo per onore al merito e perché è una canzone che è nata dopo un nostro incontro nel quale mi ha fatto sentire questo brano del quale mi sono subito innamorato, proprio perché tratta un tema così ampio e vasto con una delicatezza senza retorica. Era difficile affrontare una tematica così importante, ci siamo domandati anche se potevamo fare una cosa del genere, però affrontando la pace come argomento interiore, come pace da trovare in se stessi prima di tutto prima di pretenderla dagli altri. Sono convinto che sia la cosa giusta da dire e da fare.

Esistono molti brani che parlano di pace, ma il vostro esce fuori in modo non banale, è molto profondo, non parla superficialmente della pace come “una cosa bella”.

Sono dello stesso avviso, anche perché appunto la pace nel mondo fa molto “concorso di bellezza”, ma in realtà per questa canzone le parole sono senza retorica e il merito è tutto di Erika che ha scritto queste belle parole e sono felice di averlo interpretato con lei.

“Il mio pensiero” era stato già pubblicato in quanto parte della colonna sonora da te totalmente scritta del film RAI “Un angelo all’inferno”. Era la prima volta che ti cimentavi in un tale lavoro?

Sì, era la prima volta ed è stata una delle cose che ho fatto nel mio periodo di silenzio discografico. È un lavoro completamente diverso e nel quale non ti devi confrontare con il minutaggio tipico delle esigenze radiofoniche della canzone propriamente detta che deve durare tre minuti e mezzo. La colonna sonora è quanto di più creativo possa esserci perché, sulle immagini che scorrono, con un computer e una tastiera riesci a puntualizzare in qualche modo quello che vuoi fare, realizzandolo insieme ai musicisti. C’è un momento molto bello che è proprio l’unione delle immagini e del suono, e nel momento in cui scrivi appartiene solo a te. È un’esperienza bella che spero di ripetere quanto prima.

Che tipo di film ti piacerebbe “musicare”?

Adoro Virzì, adoro spassionatamente Tornatore. Mi piacerebbe musicare un film di uno di questi due splendidi registi. È una cosa difficile, ma sarebbe molto bello!

Nel 2015 è uscito Episodio 1, questo significa che in futuro ci saranno altri episodi?

Il progetto è nato con quell’idea, sarà appunto una saga completamente digitale così come è stato Episodio 1. Ci saranno altri episodi che non vedranno la luce da un punto di vista proprio fisico, ma saranno dei prodotti esclusivamente digitali e fruibili via internet. È un’idea parallela a questo disco che è uscito e che ha un percorso diverso, nel quale sperimenterò cose diverse.

Hai un debole per il calcio, fai parte della nazionale cantanti e tra l’altro sei anche uno dei giocatori con più presenze…

Ahimè sì, quando sono entrato guardavo i “senatori”, quelli che avevano più di 200 partite con l’aria della serie “Ma come, giocano ancora questi?” e ora mi ritrovo io in quella posizione! Però è una grande famiglia quella della nazionale cantanti e, se guardo un po’ a ritroso nel tempo, sono le persone con le quali ho condiviso più tempo della mia vita, visto che appartengo a questa generazione dal ’91. Ovviamente se prima sgomitavo per andare in campo, adesso lo faccio anche per restare in panchina perché va bene partecipare ma bisogna anche essere consapevole che la squadra si sta rinnovando e si stanno avvicinando persone più “fresche”.

Pensi che se non avessi sfondato con la musica ti saresti dedicato a questo sport?

No, non ne avrei avuto le capacità, anzi tutti i miei amici con i quali settimanalmente gioco a calcetto sono tutti calciatori tutti più bravi di me ma magari sono arrivati tutti a giocare in Prima Categoria o in Promozione, per cui una delle rabbie più grosse che posso dar loro è di aver giocato allo Stadio Olimpico a Roma o al Franchi di Firenze, a me particolarmente caro, oppure aver giocato insieme a Maradona e Baggio. Insomma non lo digeriscono perché calcisticamente non avrei mai potuto fare il calciatore.

Sei sulla scena dal 1991, cosa pensi sia cambiato nel panorama musicale italiano in tutti questi anni?

È cambiato quasi tutto, a partire dall’avvento di internet che all’inizio forse ha rappresentato quasi un pericolo e poi in realtà è diventata un’opportunità per tante persone per potersi far sentire. Anche da ascoltatore si ha molta più possibilità di ascoltare cose che magari non avresti mai potuto ascoltare. È cambiato tutto, credo che quello che non cambia mai è in fondo l’amore e il rispetto che si porta verso questa arte, l’impegno che ci si mette e la dedizione con la quale una persona si approccia. È cambiato ciò che ci sta intorno.

E come è cambiato Paolo Vallesi in questi anni?

Se parliamo di un lasso di tempo di 25 anni sarebbe drammatico se niente fosse cambiato, spero di essere cresciuto e di aver acquistato un po’ di maturità e nello stesso modo di aver conservato lo spirito che ogni artista porta in se che è quello di rimanere bambini.

Quali sono le tue aspettative per il futuro?

Le aspettative sono di promuovere questo album, di portarlo a conoscenza di più persone possibili, di fare un lungo tour estivo che partirà a giugno e arriverà fino a fine settembre, e la felicità di aver prodotto qualcosa per il gusto di farla senza preoccuparsi se potesse piacere o non piacere e senza esigenze particolari se non il fatto che piacesse a me.

Che dovrebbe essere in fondo il comandamento principale da seguire per ogni musicista, a volte per la ricerca del piacere universale si finisce a pubblicare un lavoro mediocre.

Andare alla ricerca del gradimento prima dell’emozione credo sia qualcosa di sbagliato ed è qualcosa in cui si può cadere. È uno dei motivi per i quali a un certo punto ho interrotto la mia produzione, mi piaceva l’idea di recuperare lo spirito madre di ciò che mi ha spinto a fare musica che è l’amore per questa forma di arte.

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