Intervista raccolta da Carmine Rubicco

Infiniti e completamente personali sono le motivazioni che spingono un artista a scrivere un disco. Raro è trovare un album scritto, concepito e assemblato completamente da un batterista. Questo è il caso di Giacomo Calabria. Brillante carriera alle spalle, in 15 mesi ha pubblicato, grazie al crowd funding, quello che certo resterà uno dei migliori dischi del 2016. “Face the Odds è un concept album, tratta di esperienze vissute in prima persona, ma che riguardano tutti, per cui è un album si autobiografico, ma soprattutto biografico, poiché sono cose che accomunano tutti noi; le perdite, le ansie, le paure, ma anche i momenti di gioia che riusciamo a trovare grazie agli amici o a una donna. Il messaggio comunque è positivo, lascia speranza: guardando dentro di sé si può trovare la forza per fare tutto, soprattutto rialzarsi e ricominciare da capo”. Calabria racconta in questa intervista a Tempi Dispari nascita, sviluppi e retroscena del long playng e cosa lo aspetta per il futuro.

1 – Iniziamo dalla fine, il nuovo Face the Odds. È come ti aspettavi, è meglio, manca qualcosa…

Beh devo dire che è come me lo aspettavo; avevo ben chiaro come doveva suonare, quello che volevo dai brani e quello che non volevo; dal songwriting alla scelta dei musicisti, fino alle registrazioni, ci ho lavorato molto proprio per arrivare a quello che avevo in mente.

2 – Che cosa ti ha spinto per le collaborazioni a fare appello esattamente a quei musicisti e non ad altri?

Due cose: una è il fatto che per ogni brano, essendo l’album così eterogeneo, volevo differenti attitudini, interpretazione, stili, proprio per dare a ogni pezzo la giusta veste, e quindi ho chiesto la partecipazione di 21 musicisti che sapevo essere le persone giuste; l’altra sta nel fatto che tutti loro sono molto preparati su molti stili, ma la maggior parte di essi viene sempre collocata in un’unica sfera musicale; ebbene il mio intento era di farli uscire dalla loro condizione solita perché so che hanno tanto da dire anche in altri ambiti. Gli arrangiamenti infatti sono stati fatti con ognuno di loro, ognuno ci ha messo del suo, il proprio carattere musicale, il proprio stile, e tutti hanno fatto il grande lavoro che mi aspettavo, hanno dato prova di grande bravura e grande professionalità. Per me è stata l’ennesima conferma, per cui sono soddisfatto anche di questo. E’ stata una collaborazione che a me ha lasciato molto, mi ha arricchito, e spero di aver, a mia volta, lasciato qualcosa a loro.

3 – Il disco è piuttosto variegato e umorale in più di un passaggio. Quanto di caso, quanto di scelta e quanto di Giacomo Calabria c’è in questo mix?

C’è solo e tutto Giacomo Calabria. Dalla musica ai testi, dalla copertina al booklet, dal concept al titolo dell’album; ho ideato e curato tutto, sapevo cosa volevo; avevo così tanto da dire e così tanta voglia di fare questo disco che mi ci sono fiondato per 15 mesi, senza sosta. In realtà per me questo lavoro è stato molto terapeutico.

4 – Se non sei un veterano della scena italiana, certo ne hai buona esperienza. Limiti e potenzialità del movimento musicale nostrano

Chi mi conosce sa che amo le band che fanno musica inedita. Parlando solo della città che mi ha adottato, Bologna, c’è un potenziale enorme, musicisti di grande caratura che scrivono e suonano musica di buona qualità, se poi vogliamo parlare dell’Italia intera non finiamo più; ho girato tanto per i tour e ho sempre incontrato band validissime ovunque e di qualsiasi genere. Il problema sta nel fatto che ci sono sempre meno spazi per la musica inedita a favore delle tribute band (adesso mi creerò parecchie inimicizie), che non amo affatto, non mi piacciono, sebbene abbia dei carissimi amici che ne fanno parte. Sono dell’opinione che andare in sala o in studio per scrivere testi, comporre i brani, creare cose nuove, esprimere se stessi e cercare di migliorarsi sia il contributo migliore che possiamo dare all’arte. Ho sempre detto che se non fosse stato per chi ci credeva sul serio non ci sarebbero state neanche le tribute. Ed è un vero peccato perchè ci sono tantissime band che meriterebbero molta più visibilità di quella che hanno.

5 – Hai scelto di autofinanziare la registrazione del disco grazie al crowdfunding. C’è stato un momento in cui hai pensato di non farcela?

Certo, dall’inizio fino a quando non è stato raggiunto il risultato. In tutta onestà volevo chiedere 1000€, poi sono stati la mia compagna e altri amici che mi hanno spinto a chiederne il doppio; io ero molto scettico poichè non credevo di poterci arrivare e invece… hanno avuto ragione loro; non solo è stato raggiunto l’obiettivo, ma è stato anche superato, e quando vedi che c’è così tanta gente che crede in te è un’ulteriore spinta per continuare a lavorare mettendoci tutto te stesso.

A tal proposito, ne approfitto per elogiare il lavoro di queste persone addette ai lavori; come già detto proprio in occasione del video di presentazione su Musicraiser, trovo che il crowdfunding sia il modo più democratico per creare e proporre la propria arte e le proprie idee, e questi ragazzi che ci lavorano ti danno un grande supporto e aiuto, e attualmente sono proprio tra quelli che fanno sì che l’arte in ogni sua forma continui ad andare avanti, sia per chi ha esperienza che per le nuove leve.

6 – Il primo brano che hai scritto per il disco?

Hold on, che poi è la traccia che apre il disco. Ero in macchina, mi è venuto in mente un ritornello, ho accostato, tirato fuori il cellulare e registrato (tutto questo davanti agli occhi increduli della mia compagna). Appena tornato a casa mi sono messo al lavoro e due giorni dopo la stesura era finita.

7 – la canzone che ti ha impegnato di più perché “non è ancora così che la voglio”?

Tutte. Sono molto pignolo, e di questo se ne sono accorti tutti i ragazzi che hanno suonato nel disco. Credo di averli portati all’esasperazione in alcuni casi. Ma due brani in particolare hanno richiesto più lavoro: Water in the desert e Darkest enemy. In fase di scrittura sono quelle che più hanno subito cambiamenti, molte parti cambiate, modificate, cancellate; ricordo che le ho tenute a “riposo” due settimane, prima di tornare a lavorarci.

8 – Consigli non se ne danno, quindi un tuo punto di vista a chi vorrebbe intraprendere la carriera del musicista oggi

Chiunque voglia fa bene, è l’unica cosa che posso dire. Bisogna seguire i propri sogni e provarci; di sicuro è difficile, ma quante cose sono facili? Ogni volta che vengo a sapere che un/una ragazzo/a si sta avvicinando a uno strumento o in genere al mondo dell’arte, sono sempre molto contento e spero che possa farcela.

9 – Vorresti avere 20 anni oggi e voler fare il batterista? Si, perché; no, perché?

Sinceramente no, e ti spiego il motivo. Quando ho cominciato a suonare non c’erano internet e youtube, non accendevi il pc (e chi ce l’aveva?) per trovare mille tutorial sui paradiddle e le cover dei Dream Theater. Dovevi procacciarti le cassette, avere la fortuna che il fratello maggiore di uno dei tuoi amici andasse in vacanza da qualche parte, conoscere in qualche modo una band nuova, e al ritorno portare la cassetta di un gruppo che non avevi mai sentito, fartela registrare per poi chiuderti in camera a studiare. Si aveva fame di imparare, di ascoltare roba nuova, di capire, si facevano lavorare le orecchie poiché era l’unico modo per imparare a suonare un brano, o al massimo (non per i batteristi) c’erano i tab. Oggi c’è tutto ma non c’è più curiosità, ci sono mezzi illimitati per imparare ma non si sfruttano. Ho avuto allievi che non sapevano ancora la differenza tra crash e ride e volevano suonare Assassins dei Muse o mi chiedevano di insegnare loro Metropolis dei DT. Invece di studiare il rullo a due cercavano il tutorial in cui si spiega la cover dei Porcupine Tree; quando vedevano che non riuscivano a suonare quella roba dicevano che era tutto molto difficile e che non faceva per loro. Da insegnante ho sempre detto una cosa: “Non abbiate fretta di imparare, abbiatene la pazienza”. Ma il messaggio non sempre viene recepito, Per cui preferisco tenermi i miei quasi 38 anni fiero e felice del mio percorso musicale.

10 – Oggi Face the Odds, domani?

Non nascondo che nuove idee sono già registrate sul mio cellulare. Ora sono molto impegnato col tour, date sono già in programma e altre in contrattazione, tra un po’ partirò con le lavorazioni del video di Another me, ma l’idea del secondo c’è già, tra qualche tempo si comincerà con le nuove pre-produzioni.

11 – Qualcosa che non ti hanno ancora chiesto ma ci tieni a dire?

Riguardo al significato del disco. Face the Odds è un concept album, tratta di esperienze vissute in prima persona, ma che riguardano tutti, per cui è un album si autobiografico, ma soprattutto biografico, poiché sono cose che accomunano tutti noi; le perdite, le ansie, le paure, ma anche i momenti di gioia che riusciamo a trovare grazie agli amici o a una donna. Il messaggio comunque è positivo, lascia speranza: guardando dentro di sé si può trovare la forza per fare tutto, soprattutto rialzarsi e ricominciare da capo. “Face the Odds” sta per affronta le probabilità, le eventualità, sii pronto a ricevere cose brutte ma soprattutto le cose belle, senza precluderti nulla; goditi la vita fino in fondo, fà le tue scelte, le tue mosse, facendoti carico delle conseguenze, poichè il bello di vivere sta proprio in quello.

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