les long adieux

La pubblicazione del primo disco dei Les Longs Adieux sancisce un risultato che ha atteso diversi anni. Periodo di sperimentazione, ricerca, analisi per ottenere esattamente il sound desiderato. Il risultato è un cd variegato, con molte influenze differenti, cantato rigorosamente in italiano. In questa intervista la band si racconta attraverso le parola della cantante Federica Garenna. Una lunga chiacchierata ricca di interessanti spunti di riflessione. Tutta da leggere.

Una presentazione per chi non vi conosce, nome e ruolo:

Federica Garenna: voce, synth e programmazione, missaggio e autrice e compositrice principale; Frank Marrelli, chitarre, basso; Trinity, synth, cori gestione programming live; Valerio Michetti, batteria.

Come è nata la band?

Io e Frank, all’epoca amici di vecchia data, ci siamo incontrati nel 2020 appena dopo la prima fase di lockdown con l’intento di scrivere musica originale ispirata alla darkwave anni ’80, straniera ma soprattutto italiana. Complice quel frangente di clausura, entrambi ci eravamo appassionati all’home recording e unendo le competenze di entrambi ci siamo divertiti a fare qualche cover per ambientarci nel nuovo genere.

Parallelamente, i pezzi originali si sono sviluppati in fretta, ma abbiamo deciso di aspettare anni per pubblicare il nostro primo album, sapendo che prima ci sarebbe piaciuto esplorare e sperimentare, cambiando spesso direzione. Dopo 5 singoli un po’ lontani dalla proposta attuale, una raccolta di cover e un ep, “Veleni Dalla Corte Del Re”, si sono inseriti Trinity e Valerio Michetti, membri anche de La Grazia Obliqua, il Ciclo di Bethe e altri. Una volta raggiunto il sound che sognavamo, eccoci qua a proporvi la nostra creatura.

Suonare è una necessità o solo uno sfogo?

Una necessità e uno sfogo. Non riesco a scrivere senza implicare tante cose intrappolate dentro che non riuscirei a esternare in nessun altro linguaggio. Personalmente trovo la composizione la miglior terapia possibile se si è disposti a lasciarsi un po’ andare.

Ho trovato il vostro disco molto interessante per la scelta stilistica. C’è dentro un po’ di tutto con una forte influenza della musica italiana di nicchia. Scelta o casualità?

Effettivamente di tutti i nostri ascolti, numerosi e variegati, la parte “italiana di nicchia” è quella che abbiamo studiato più a fondo dalla nostra nascita in poi. Non mi meraviglia che il nostro album sveli queste influenze, ma soprattutto è un onore sentirselo dire.

Perché cantare in italiano?

Perché penso in italiano e non sarei mai capace di scrivere qualcosa di credibile in una lingua non mia. Poi mi piace molto la cadenza e la durezza delle consonanti, che cerco addirittura di enfatizzare, a costo di calcare troppo. La lingua italiana è piena di aggettivi, avverbi… lo stesso concetto può essere espresso in mille modi diversi e, in questo senso, nessun’altra lingua al mondo offre altrettante possibilità.

I testi in un disco sono importanti?

Dipende dal tipo di disco. Nel nostro sono importantissimi. Non abbiamo mai usato il termine “cantautorale” per un fatto di umiltà ma la proporzione tra l’importanza della musica e l’importanza dei testi è quella propria del cantautorato per noi.

I vostri da dove nascono?

Trovo i testi criptici una soluzione “paraventa” per non sentirsi troppo “a nudo” ma dire ciò che si vuole. I testi sono quasi tutti autobiografici, parlano tra le righe di infanzie tristi, bocconi mai digeriti, relazioni tossiche, depressione e via dicendo.

La musica ha ancora un compito ‘sociale’ o è diventata solo social?

Voglio credere che la musica avrà per sempre un compito ‘sociale’, aggregativo e spero che i social vengano via via riprogrammati, resi utili per gli artisti ma anche per gli utenti che si interfacciano con gli artisti. Invece di esasperare la competizione, infondere in tutti il dovere di stare al passo e al centro dell’attenzione in modi, tempi non sostenibili per tutti, si potrebbe fomentare l’ascolto piuttosto che il giudizio, si potrebbe premiare lo scritto invece che l’immagine, e così via.

Quanto contano i live per voi?

Conterebbero ancora di più se potessimo suonare sempre per un pubblico aperto mentalmente, ma il più delle volte non è così. Per il momento suoniamo live principalmente perché ci divertiamo sul palco insieme e perché ci piace proporci agli altri, anche quando ci snobbano. Di recente abbiamo suonato in Spagna e l’accoglienza ricevuta ci ha sorpreso, non ci siamo abituati.

Una band per cui vi piacerebbe aprire?

Assolutamente i Diaframma. Sono rimasta profondamente commossa sentendoli dal vivo e inoltre sia Sassolini che Fiumani sono i miei riferimenti principali per le parti cantate. Magari ci capitasse!

Una che vorreste aprisse per voi?

Di solito la band d’apertura risulta minore agli occhi degli altri…quindi piuttosto che una band mi piacerebbe aprire con una performance diversa. Per esempio una di quelle proposte da Aldo Sehmenuk, per intenderci il performer del monologo contenuto ne “La Magara”. Una versione snellita per l’occasione del suo spettacolo “Offline” mi piacerebbe e arricchirebbe un’eventuale serata.

Il vostro concetto di underground?

Underground secondo noi è tutto ciò che rifugge il conformismo, la moda, il marketing, il guadagno, l’interesse per l’aspetto economico PER DAVVERO. Adesso il rischio di trasformarsi in “alternativi conformi” è più alto visto che il successo sociale e social è l’unico traguardo raggiungibile a un livello come il nostro. Se mancano denaro da investire, occasioni gratificanti e mordente per proseguire ci si attacca a tutto e si cade più facilmente nei meccanismi dei conformi.

La sua ‘malattia’ peggiore? La cura?

La mia? La bassa autostima messa in un physique du role sbagliato che mi fa sentire impacciata. La cura è scrivere musica che mi piace e sapere se tocca le corde di qualcuno.

Una band underground che consigliereste?

Per contenuti ma anche per mentalità appunto underground, oltre a La Grazia Obliqua che citavamo più su, i Sacred Legion. Con testi in inglese, un approccio deathrock e una grande attitudine, restano veramente impressi dal vivo.

Una mainstream che ancora vi stupisce?

Di recente abbiamo visto all’Olimpico il nostro bistrattato Vasco e sono rimasta sbalordita. Io, come tanti, apprezzo i vecchi dischi fino all’89 ma devo ammettere che non avevo mai visto nessuno instaurare un rapporto così profondo con un pubblico così affettuoso e numeroso. Non pensavo che nel 2023 avrei mai visto insieme 6000 persone tutte d’accordo su qualcosa, è stato cruciale per me esserci. Mi dispiace che si parli tanto male di Vasco.

Ieri l’idea, oggi il disco, e domani…

E domani tantissimi altri dischi. Registrare dischi per il solo piacere di farlo è la vita.

Una domanda che non vi hanno mai posto ma vi piacerebbe vi fosse rivolta?

Che tipo di ascoltatori vorreste raggiungere? Sarebbe una domanda interessante visto che noi per primi abbiamo difficoltà a definirci e lo troviamo un aspetto positivo. Tuttavia ci siamo resi conto che usando le definizioni darkwave, new wave, mediterranean goth, abbiamo creato un tipo di aspettativa che non ci appartiene del tutto. Io e Frank abbiamo suonato hard rock, metal e altri generi per anni. Trinity e Valerio hanno influenze ancora diverse, dal prog al jazz all’elettronica e suonano a servizio della musica senza asservirsi ad alcun cliché.

Una domanda che avresti sempre voluto rivolgere all’altro?

Come abbiamo fatto a non suonare insieme per 38 anni?

Se foste voi ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervistereste e cosa gli chiedereste?

Franco Battiato solo per il gusto di starlo ad ascoltare! Lui avrebbe reso interessante anche la ricetta della panna cotta e probabilmente gli avrei fatto una serie di domande da cretina proprio per constatare di persona che una grande mente come la sua avrebbe innalzato anche le argomentazioni più sciocche.

Un saluto e una raccomandazione a chi vi legge

Prima di tutto a te che ci hai dato modo di raccontarci. Un saluto e un ringraziamento a chi ci legge raccomandandogli di tenere aperta la sensibilità anche a quello che c’è adesso. Chi propone qualcosa in questo momento storico ha comunque qualcosa da dire e fa una grande fatica a confrontarsi con un pubblico diffidente, pieno di pregiudizi, educato dai talent a giudicare, a valutare solo gli aspetti superficiali, a pensare di saper fare meglio. C’è ancora tanta gente che vuole comunicare e non essere solo un argomento di conversazione.

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