Steel flames

Se gli Iron Maiden si fondessero con i Mercyfull Fates probabilmente il risultato sarebbero i romani Steel Flames. È esattamente da questo connubio che nasce il loro stile. Siamo in ambito heavy metal classicheggiante, quindi, con tinte oscure. Viene da sé che dalla fusione non può nascere un clone ma un nuovo soggetto stilistico. Le influenze dei nostri non si fermano qui, in ogni caso. Vanno a pescare anche dall’hard rock di Alice Cooperiana memoria, nel metal dei Judas Priest e qualche spruzzatina di prog.

Nel suo insieme il lavoro è ben suonato. La produzione in alcuni frangenti lascia un po’ a desiderare schiacciando le chitarre sotto le ritmiche in fase di a solo. Detto ciò, che non va certo a minare la qualità del disco, le composizioni non hanno un calo. Anzi. I ritmi, pur rimanendo in mid tempo, incalzano senza sosta. Fiumi di metal vengono riversati sull’ascoltatore. Di canzone in canzone il tiro si alza. Apice di questa corsa è Steel Flames. Praticamente un brano speed. Una menzione particolare va al lavoro della batteria e della voce. La prima per i tappeti che riesce a creare. Ritmiche mai dome, dinamiche, varie.

La seconda per la facilità con cui riesce ad adattarsi ai diversi contesti narrativi. Riesce a passare da falsetti modello King Diamond a registri molto più bassi senza alcuno sforzo. Questo denota una certa estensione ma, soprattutto, una capacità tecnica, una padronanza non indifferente. Un brano sugli altri che può essere di esempio è China blu suite. Qui i passaggi sopra citati sono piuttosto marcati lasciando davvero stupiti. Nello stesso brano è da sottolineare la dinamica.

Da cavalcata metal a semi power ballad con una batteria sempre in primo piano. Di gusto il solo che non sciorina note su note ma resta melodico. Le atmosfere di incupiscono ulteriormente facendosi melanconiche e tristi nella successiva Lost identity. Tastiere lunghe, arpeggio di chitarra pulita, basso morbido, voce evocativa, intensa. Sei minuti di camminata nell’oscurità procurata dal disorientamento interiore. Molto bravo il cantante nel rendere concreti i sentimenti del protagonista della canzone. La chitarra elettrica fa da contrappunto con piccoli riff nei frangenti più intensi. Il solo esplode invece a circa ¾. Di gran gusto. Banding, armonici, passaggi lenti, sentiti. Il giusto commento alla narrazione del testo.

L’andamento della composizione è circolare, quindi sul finale si torna sulle coordinate iniziali grazie al secondo intervento solista. Heart on fire, cui è affidata la chiusura del disco, riaccende i toni. Una sfuriata al limite del power metal con tanto di ritornello supermelodico. Al limite in eccesso, ossia superata la linea c’è lo speed metal. Doppia cassa iterante, pennata alternata in ottavi per le chitarre, voce su toni decisamente alti. Su questo brano una menzione va al basso. È lui a fare la differenza. Se da una parte segue le chitarre, dall’altra si ritaglia spazi propri. Questo inspessisce il tappeto ritmico incrementando il wall of sound complessivo. Come genere impone, la melodia domina incontrastata.

Concludendo. Disco metal nel senso più classico del termine, quello degli Steel Flames. Questo non significa già sentito. Vuol dire solo sonorità ben precise. I nostri riescono a ritagliarsi nel saturo panorama, un posto proprio. Soprattutto grazie al lavoro della voce. La scelta stilistica è quantomai azzeccata. Riesce a dare la giusta enfasi al fattore narrativo e ai testi. Un disco non immediatissimo. Servono diversi ascolti per poter entrare nel suo mondo. Un universo fatto ferro e fuoco, nel vero senso della parola. Se non amata suoni compressi, ritmiche serrate, voce dinamica, forse sarà un ascolto impegnativo. Se, invece, siete fan delle band citate in apertura, non fatevelo scappare. Soddisferà tutta la vostra sete di novità pur rimanendo nella confort zone.

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