acacia

Heavy rock di gran classe quello degli Acacia. Dopo 23 anni di stop la band è tornata con Resurrection, un full lenght tutto da ascoltare targato 2019. Per avere dei riferimenti stilistici possiamo prendere i Queensryche più ispirati accentuando le caratteristiche heavy/prog rock. Questo già ben evidenzia le capacità tecniche e compositive dei nostri. Non si tratta di riproposizione del già sentito. Gli Acacia affondano le radici in quel genere di sonorità per poi proseguire per la propria strada. Un percorso lastricato da molti colori, tante influenze. Si possono sentire fraseggi Aor, passaggi più progressive come pesanti passi thrash. La caratteristica dominante resta la fluidità.

I brani sono un coacervo di cambi d’ambiente, di velocità, di tempi da rendere difficile seguirli con un solo ascolto. Di volta in volta, se davvero si vuol capire il disco, si deve decidere quale strumento seguire. Avendo questo aspetto viene da sé che la produzione è cristallina. Il che non significa fredda. Vuol dire che ogni strumento ha il proprio ‘spazio’. È l’insieme che crea il wall of sound. Molto ben azzeccati i continui alternarsi di attimi acustici a scariche elettriche. I momenti più calmi ampliano l’orizzonte sonoro grazie a delay e riverberi.

Atmosfere quasi space si scontrano con fulminanti a solo di chitarra. Una menzione va al lavoro di queste ultime. Tutto il loro impegno è messo nella creazione di stati d’animo. Non c’è nessuna volontà dimostrativa. Neppure è necessario che ci sia. Gli arpeggi, i repentini cambi già ottimamente evidenziano le capacita dei chitarristi. Medesimo concetto vale per il basso. Questo non si limita alla parte meramente ritmica. In diversi passaggi lo si sente su una linea propria molto ben congeniata. Il suono scelto è rotondo, corposo. Effetto che può derivare solo dal fatto che vengano usate le dita e non il plettro.

Per avere un’idea precisa si ascolti Alone. Un accompagnamento quasi jazzistico si dipana per tutto il brano. L’andamento metronomico prescelto è il mid tempo tendente al lento. E ascoltando il disco ben si capisce il perché. Grazie a questo andamento la band ha la possibilità di costruire trame sonore fitte, ricche di cambi, cariche di atmosfera. Anche quando le canzoni alzano il tono non si sconfina mai. Cresce l’intensità piutttosto che la velocità. Indice di perfetta padronanza del metodo espressivo.

Molto belli gli a solo. Sempre ‘morbidi’, mai sacrificati alla velocità. Un tocco magico viene poi dato dalle tastiere. Sono presenti ma non sono invadenti. Se però fossero assenti si sentirebbe. Un modo non semplice di scrivere. Vuol dire che è tutto così ben bilanciato che per ottenere il risultato non può mancare nessun pezzo. Lasciata appositamente per ultima la voce. Questo è quanto mai eterogeneo pur senza manierismi. Passa da registri bassi a note acute senza alcuno sforzo. Non dovendo e non volendo dimostrare nulla, le impennate sono strumentali all’andamento narrativo.

Non sono mai fini a se stesse o fuori contesto. Danno espressività. Qua e là fa capolino l’ombra di James Labrie. Il che ci sta considerando il terreno su cui si muovono gli Acacia. Un track by track richiederebbe un considerevole numero di pagine e non renderebbe giustizia ad un lavoro così intenso. Pregevoli i momenti in cui le canzoni incedono con un avanzare marziale, apparentemente duro. Un passo che il più delle volte si apre su mondi inaspettati.

Nel climax narrativo i nostri riescono ad inserire quell’elemento destabilizzante che rende il tutto molto interessante. Non c’è nulla di scontato in questo disco. Un lavoro che può sicuramente interessare sia gli amanti del prog più rock sulla falsa riga di Merillon, Rush, Queen (il passaggio centrale di Gone away fa molto Innuendo) sia chi è abituato a suoni più duri ed incalzanti. Il tutto placato con una grande classe e un ottimo gusto per la melodia. La conclusione del cd è affidata a The man, perfetto manifesto delle capacità del gruppo con richiami ai Savatage.

In conclusione. Quello degli Acacia è un lavoro bello, interessante, che mischia diversi generi e sonorità in modo magistrale. Non è ‘pesante’ come il prog più complesso ma non lo si coglie di certo al primo ascolto. Una cosa è certa, se i riferimenti della band lo dovessero ascoltare non potrebbero che complimentarsi per aver fatto evolvere così bene ciò che loro avevano piantato. Un disco che merita tutta l’attenzione possibile. Sarebbe interessante vedere la band dal vivo per verificare la resa di brani. Non deve essere facile riuscire a ricreare le medesime atmosfere del disco durante un concerto.

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