space traffic

Fine anni 60 e interi anni ’70 condensati in un disco. Così si potrebbe raccontare la prima fatica degli Space Traffic. Buona parte della produzione del decennio d’oro del rock è raccontata nel loro Numbless. Dalla psichedelia dei primi Pink Floyd, al rock degli Steppenwolfe, il countryrock di Traffic e Eagles, passando attraverso la dance di Patrick Hernandez e la sua Born to Be Alive. Senza tralasciare altri grandi classici come Hendrix, Led Zeppeli, Deep Purple.

Non possiamo poi dimenticare dei riferimenti nostrani come PFM e New Troll. Un disco fatto di altissimi richiami e riferimenti. Il che presuppone una buona padronanza strumentale, che effettivamente c’è, così come è presente un buon gusto melodico, una delicatezza di toni che ben delinea il carattere della band. Per avere un’idea più precisa di ciò che sono gli Space Traffic si devono prendere tutti, ma non solo, i su citati riferimenti e shakerarli adeguatamente.

Quello che ne emerge è un mix variegato, non di semplice approccio, ben suonato, discretamente prodotto, dove spiccano le doti di tutti e tre gli strumentisti in chiaro scuro che caratterizzano tutto il disco. Ci sono cavalcate di 10 minuti, come Dream, che si alternano a brani più brevi, leggermente più immediati. Da sottolineare come non ci sia nulla di semplice in questo disco. L’amalgama non permette un ascolto superficiale o disattento. Allo stesso modo il mood per poterne godere, deve essere molto preciso.

Fatti salvi alcuni momenti più aperti, non c’è molta luce tra le tracce. I brani risultano piuttosto inquieti, tormentati. E la base strumentale ottimamente rende le atmosfere. Come già detto, un disco non di facile assimilazione così come non di facile ascolto, ma che, una volta capito, può portare la mente molto lontano. Se la si deve trovare una pecca, è nella produzione. Non è ottimale. In diversi punti risulta confusionaria, con gli strumenti che si impastano soffocando ora il solo di chitarra, ora il passaggio di batteria.

Tirando le somme: Numbless è un disco complesso, zeppo di richiami e citazioni, che dimostra come la lezione del progressive classico non è tramontata ma può, anzi, essere fatta propria e portata ad un livello più contemporaneo.

Un disco che non è certo consigliabile a tutti. Per poterlo apprezzare, anche ad un primi ascolto, si deve per forza avere le orecchie allenate a determinati suoni e a certe soluzioni armoniche, che non sempre sono quelle che ci aspetteremmo. Un disco di sicuro interesse per chi invece vuole essere sorpreso.

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