davide riccio out of africa

Un disco estremamente interessante questo di Davide Riccio, in arte DeaR. Il nostro arriva da una pluriennale carriere che gli ha permesso collaborazioni variegate e si sente. Questo Out of Africa non ha nessun genere di riferimento preciso. Ogni brano potrebbe essere considerato a sé stante tante le differenze stilistiche. Solo come esempio, il dc apre con un brano praticamente country per proseguire con uno tribale con inserti elettronici. E il crossover di Davide Riccio non si ferma qui.

Man mano che le 19 tracce scorrono, si attraversano territorio musicali sempre differenti. Ora solo intermezzi percussivi, ora brano più lunghi che si rifanno a sfumature jazz unite al cantautorato italiano. Poi tocca all’elettronica in stile Depeche Mode con influenze africane. Così via di traccia in traccia. Viene da sé, quindi, che non si tratta di un disco facile, assimilabile al primo ascolto. Tutt’altro. È un disco molto complesso, variegato quasi all’eccesso. Ma non è un disco che delude.

Ottima la produzione. Il suono ha una profondità che ben si adatta ad ogni circostanza. Non ci sono strumenti dominanti, anche se a farla da padrone sono le percussioni, né virtuosismi. A tenere unito questo multiverso musicale, la voce del nostro. Non una voce con particolari capacità tecnica, ma uno strumento che ben si adatta ai brani con delle reminiscenze new wave a volte molto marcate. Altro elemento che va ad assommarsi a quelli precedentemente elencati.

Cos’altro dire se non di ascoltarlo? Non farlo equivarrebbe a perdere una vera e propria esperienza. Non è una questione di genere quanto di musica in sé stessa. Questo è il messaggio che il disco pare voler trasmettere: non vi fermate agli schemi, andate oltre i generi, sperimentate, osate. In questo caso, tutte iniziative andate a buon fine.

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