Sabba e gli Incensurabili

Intervista raccolta da Benedetta Lattanzi

Salvatore Lampitelli, in arte “Sabba“, incontra gli Incensurabili (Luca Costanzo, Alessandro Grossi, Alessandro Mormile ed Andrea Di Fazio) nel 2010 e, da questo incontro, nasce un mix fresco e frizzante che la band riesce a trasmettere con l’energia e la rabbia di chi non vuole abbassare la testa di fronte ai silenzi e alla rassegnazione che stanno conducendo il Paese inesorabilmente alla deriva. A fine 2014 è uscito il loro secondo album, Sogno e Son Fesso, che racchiude in sole dieci canzoni il diritto alla speranza di una generazione rinnegata dalle sue stesse radici che, dopo vent’anni di silenzio, si ritrova a sostenere il peso di una storia a cui non sente di appartenere.

Sabba e gli Incensurabili, un nome un programma si potrebbe dire. Perché avete deciso di fare “musica di denuncia”?

Non è stata una decisione netta, oltretutto in effetti c’è da sottolineare che non si può dire che facciamo esclusivamente “musica di denuncia”, forse sarebbe riduttivo. Possiamo piuttosto dire senz’altro che affrontiamo tutta una serie di tematiche, non solo sociali o “politiche”, in maniera assolutamente libera, libera da qualsiasi schema anzitutto, diretta, spontanea, irriverente, ecco perchè “non censurabile”.

Riteniamo di raccontare le cose da un punto di vista diverso e per questo stimolante, proprio perchè “non canonico” e “non schematico”. Nei nostri dischi ci sono il linguaggio e le tematiche che affrontiamo normalmente nella nostra vita quotidiana, non ci interessa quanto bene o quanto male stiano nella forma canzone. Basta che sia vero, spontaneo, istintivo, momentaneo.

Sono quasi cinque anni che siete insieme ed avete già pubblicato altri lavori di critica verso la situazione economica e sociale italiana, ognuno con un unico filo conduttore. Come scegliete gli argomenti da trattare?

Come detto poco fa, sono le cose di cui parliamo normalmente tra noi e con gli altri. Non ci sediamo a tavolino. Ciò che produciamo, nella sua stesura originaria, è quanto di più attinente alla nostra quotidianità, alle chiacchiere, alle riflessioni e le discussioni di tutti i giorni. Ovvio che si sviluppa poi un discorso molto attento e “completo” per quanto riguarda poi gli arrangiamenti. Ma questo è un altro discorso.

Non sono molti i gruppi o gli artisti nazionali che fondono blues e folk con testi ironici e di protesta. Quali sono le vostre fonti d’ispirazione?

Ecco i primi nomi che ci vengono in mente, ma potremmo farne centinaia: Fred Buscaglione, Edoardo Bennato, Luigi Tenco, Enzo Jannacci, Renzo Arbore, Giorgio Gaber, Lucio Dalla, Rino Gaetano, Daniele Silvestri.

C’è stato qualcuno, ai vostri esordi, che non ha apprezzato la vostra musica perché troppo “vera”?

Siamo certi che ci saranno stati molti detrattori, come per qualsiasi nuova band che si propone sul panorama. Per fortuna si fa Musica ed è normale, è giusto che ognuno conservi le sue opinioni, si tratta sostanzialmente di gusti. Ad ogni modo, ecco, se qualcuno che non ci ha apprezzati perché troppo veri c’è stato, per fortuna non è venuto a dircelo.


Ci ha dato così la possibilità di continuare a credere in noi stessi, nel nostro modo di fare musica, di costruire con pazienza un nostro sound, uno stile – concedimi – “incensurabile” sia dal punto di vista della scelta comunicativa, sia nelle scelte prettamente musicali.

Nel 2011 avete pubblicato un EP dal titolo “Sì, Ma Quanta Gente Porti?”, un chiaro rimprovero alle condizioni in cui versa la scena musicale indipendente in Italia. In questi quattro anni secondo voi è cambiato qualcosa?

Assolutamente no. L’ignoranza è ormai dilagante, chi si occupa di club e di musica live – per fortuna non sempre ma molto spesso – non sa neanche che tocca a lui assumersi il rischio d’impresa. Tutto ciò è ridicolo. Non credo serva dilungarsi.

Nel vostro ultimo album, “Sogno e Son Fesso”, invece, “sparate a zero” su un nuovo fenomeno musicale che spopola in Italia, ovvero i reality show a sfondo canoro. Pensate che ormai per poter sfondare nel campo musicale sia necessario partecipare a questi concorsi?

No, vorremmo provare a credere che “farsi il culo” in sala prove, durante i concerti, in studio di registrazione, crescere e migliorarsi sempre, possa essere la strada più opportuna da percorrere. Il dubbio a un certo punto ti sovviene “ma sarà che devo per forza scimmiottare in tivù per ottenere dei risultati tangibili?” ma in un Paese come questo in cui non si trova gente che “resiste” manco a pagarla, forse provare a dare il buon esempio finché si riesce a non cedere, non è una cattiva idea.

In Chiamatemi Nerone raccontate la storia di un uomo che ha apparentemente tanta voglia di fare, di cambiare le cose, ma alla fine si rassegna e lascia tutto com’è poiché “la storia questa storia la conosce già”. Pensate che questo modo di fare rispecchi in parte la mentalità della maggior parte degli italiani?

Rispetta la mentalità della politica italiana da sempre. Il gioco con Nerone era funzionale a questa riflessione: ci si presenta sempre imbellettati e ben propensi al bene collettivo, ma la gente non comprende mai che non è altro che uno strumento da prendere in giro costantemente e senza vergogna per ottenere più potere.

Avete ottenuto molti riconoscimenti nell’arco della vostra carriera, ed avete avuto l’onore di aprire i concerti di artisti quali Manu Chao, Modena City Ramblers, Pan del Diavolo e Gogol Bordello. Se prima di iniziare a fare musica vi avessero detto che in poco tempo avreste raggiunto questi obiettivi, quale sarebbe stata la vostra risposta?

È stato un percorso così veloce che non ci saremmo mai aspettati una crescita simile. Siamo convinti però che una buona parte di queste soddisfazioni venga dalla nostra determinazione e propensione al lavoro. Per natura, questo progetto è abituato a non lasciare mai nulla al caso.

Un consiglio che dareste a chi è agli esordi della carriera musicale.

Dedicarsi più alla sala prove e meno ai social.

Avete un ultimo messaggio da mandare ai lettori di Tempi-Dispari?

Resistete!

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