metallica

Una premessa. Non avendo pregato nessuno per avere il disco dei Metallica in anteprima, questa non è una recensione. Si tratta solo di una riflessione alla vigilia della pubblicazione del lavoro di una band che, nel bene e nel male, ha fatto la storia del metal e del rock. In verità non si esce dall’ambito underground. Siamo ascoltatori di musica innanzitutto, non solo quella del nostro mondo. E l’uscita del nuovo disco del quartetto di Frisco ci tocca come tali. Senza contare che li abbiamo sempre e comunque ascoltati.

Sono passati attraverso polemiche, tempeste mediatiche, vedi il caso Napster, hanno attraversato i decenni. Eppure sono ancora qui. Soprattutto, sono ancora qui i fans. Ancora le persone aspettano con trepidazione i loro nuovi lavori. Noi inclusi, non nascondiamolo. Fosse anche solo per curiosità, ma aspettiamo i nuovi dischi. Domani, a sette anni dall’ultimo, verrà pubblicato il loro undicesimo album da studio. La carriera dei four horseman la conosciamo tutti, che ci piaccia o meno. Come la discografia.

Sappiamo a memoria persino gli a solo dei dischi che ci hanno conquistato. I Metallica sono al centro di una diatriba infinita tra estimatori e detrattori. I primi difendono a spada tratta l’operato di Hetfield e soci. I secondi, poi ci sono le frange più oltranziste, fanno finire la loro carriera al Black album. Qualcuno lo include come canto del cigno, qualcun altro lo esclude perché commerciale. Eppure, come di diceva, siamo qui a parlarne. Bisogna ammettere un fatto, al di là di tutto.

Nonostante siano una enorme macchina da soldi super efficiente e al passo con i tempi, si vedano le campagne marketing degli ultimi 15 anni, sono ancora in grado di dire qualcosa… o no? Qui si insinua il dubbio. Dopo quella che è da molti considerata la vera caduta, St Anger, si sono ripresi. Hanno cancellato pure scellerate dichiarazioni in cui ammettevano di non aver mai suonato metal. Insomma, con molta fatica, sono riusciti a riportare in auge il proprio nome. Cosa non semplice considerando la fine che hanno fatto colleghi con altrettanto longeva carriera. Sono quindi tornati un po’ alle origini. Vuoi per esigenza commerciale, vuoi perché è la sola cosa che sanno davvero fare bene.

Ma sono tornati a suonare metal. Le cavalcate di terzine tipiche del loro sound hanno fatto urlare al miracolo quando sono tornate su Death Magnetic. Senza dimenticare il lavoro svolto con Hardwire. Ritorno alle origini, ma in chiave moderna. Cambio di songwriting obbligatorio. L’evoluzione c’è per tutti. Anche perché, un uomo non può continuare a sfornare capolavori in eterno. Arriviamo così ai giorni nostri. A domani, data della pubblicazione di 72 season. Una campagna pubblicitaria intensissima.

Una continua presenza sui social. La creazione dell’attesa ha funzionato alla perfezione. Non avendo ascoltato il disco nella sua completezza non si può dire nulla. Possiamo però esternare delle aspettative tenendo presente i singoli pubblicati fino ad ora. Apparentemente sembra un lavoro non completamente commerciale. Inutile parlare della produzione, dei suoni. Stiamo sempre trattando di una super band. Il prodotto è confezionato alla perfezione. Se ci addentriamo nei brani possiamo notare che, nonostante i sessant’anni suonati, i nostri ancora ci sanno fare. Il riffing di Hetfield resta sempre incisivo.

I brani non sono canzonette che si reggono su due riff. I cambi ci sono, la potenza è inalterata. Urlich è tornato ad utilizzare la doppia cassa in maniera adeguata. Forse è proprio lui il componente su cui porre maggiore attenzione. Anche perché è stato e, probabilmente, sarà quello più criticato. Da super batterista degli anni ’80 è diventato una macchietta. Così come era stato portato in alto, è stato sbattuto nelle fogne. Eppure sembra che su questo nuovo lavoro si sia dato da fare.

Almeno, per quanto riguarda i singoli. Le atmosfere complessive non sono mutate. Nonostante l’argomento del disco non c’è stato un incupimento. Rabbia si, non depressione. Un altro personaggio su cui porre l’accento è Hammet. Pure lui non se l’è vista bene. Il suo modo di suonare è stato passato ai raggi x in più di un’occasione evidenziando limiti e mancanze. Le stesse che ha sempre avuto ma che prima non facevano nessuna differenza. Lui si che è tornato a ripescare un’impostazione già sentita. Certo, stiamo parlando del suo stile. Ma pare che il vocabolario, anche dal disco precedente, non si sia molto arricchito. Ma sono solo illazioni fino a quando non si ascolterà tutto il disco.

Che cosa resta quindi? Una riflessione su una band che è un giro da quarant’anni, che nonostante sia perfettamente inserita nel music business riesce ancora a tenere molti sulle spine. È capace ancora di coinvolgere, di trasmettere qualcosa. O forse no? O magari riescono a farlo solo perché sanno come si fa? Personalmente non credo. Penso che davvero che abbiano ancora qualcosa da dire. Con tutti i limiti possibili. Sono cambiati nel tempo. Per fortuna direi.

Hanno abbandonato certe architetture per far spazio ad altre. Soprattutto sono riusciti a riappropriarsi di se stessi. Compito non facile. Obiettivo mancato da molti loro colleghi che hanno preferito sciogliersi. Questione di scelte. A noi non resta che aspettare la mezzanotte per assaporare questa nuova fatica dei four horseman nella sua interezza e sperare che le premesse vengano rispettate. Diversamente ci riascolteremo i vecchi dischi cercando qualcosa che non c’è più. Tuttavia resterebbe il dubbio: e se fossimo noi a non essere cambiati abbastanza da riuscire a capire?

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