Ossia, limiti e possibilità di un disco senza pieghe

Come si può recensire un disco pressochè perfetto come questo Foolish little dream di Renato Podestà? Musicisti di altissimo livello, tutti, produzione adeguata al genere e che mette in ottima evidenza ogni strumento. Feeling e tecnica equilibrati nel modo migliore. Brani strumentali ora ritmati ora melliflui e sognanti.

Il tutto in salsa jazz in perfetto equilibrio tra maestri tradizionali e sonorità contemporanee. Trattandosi del disco di un chitarrista, ma non per questo i brani sono basati esclusivamente sulla sei corde, anzi, non mancano gli omaggi.

Uno di questi è Happy feet dove si sente il fantasma di Django Reinhardt o più in la George Benson. I brani si dipanano tra temi che rimbalzano tra uno strumento e l’altro, a solo di batteria, tastiera, senza far mai rimpiangere l’assenza della voce. Un disco jazz con tutti i crismi. E forse questo è il solo limite del cd. È jazz.

Non è sperimentale, non intreccia generi diversi, non prova soluzioni differenti. Resta tranquillo sui binari della musica colta. Molto colta. Indicare un brano che supera gli altri? Bolero, forse, dove entra una chitarra leggermente distorta su un tema quasi psichedelico.

Ma qui di si scende nei gusti personali essendo tutte canzoni senza una pecca. Lodevole anche la copertina che richiama un quadro di Hopper. In perfetta linea con il contenuto del cd.

In conclusione un disco di sicuro appeal per chi ama questo tipo di sonorità. Da ascoltare per chi non suona nessuno strumento e da studiare per i musicisti che troveranno tutte quelle sfumature e chicche tecniche e ritmiche tipiche.

Consigliato un po’ a tutti sia ai fans del genere sia a chi ama, mentre cucina o si rilassa di sera con un bicchiere di vino, veder sciogliersi in note le tensioni della giornata.

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