Recensione a cura di Carmine Rubicco

Johnny Cash ultimo periodo, il Nick Cave più oscuro, la Patty Smith più dolorante senza dimenticare il Tom Waits più malinconico. Così potrebbe essere riassunta questa seconda fatica dell’etiope naturalizzata finlandese Mirel Wagner. Un disco minimalista e diretto, oscuro e sofferto. Un secondo capitolo che porta la nostra ad approcciare per la prima volta uno studio professionale cosa che non ha mutato l’approccio dell’artista ai brani. I testi sono intrisi di tristezza, cupi e meditabondi. Pochi fronzoli compositivi e una forza evocativa sicuramente degna di nota. Figurativamente la musica della Wagner potrebbe essere rappresentata con l’immagine di un senza tetto con vesti logore, la faccia sporca, una sigaretta accesa al lato della bocca e un cappello sulla testa mentre osserva un’aurora boreale. Una dicotomia tra la bellezza di ciò che sta osservando e la difficoltà della propria condizione umana. Non un ascolto semplice o disimpegnato ma che vale certo la pena affrontare.

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