amraam

Thrash old school di matrice teutonica. Così possiamo riassumere l’opera degli Amraam. Una band su tutte cui sono debitori, i Kreator. Chiariamo subito, non siamo di fronte a dei cloni. I nostri ci sanno fare. Suonano bene e si sente. Il disco inizia subito in quarta. Intro di batteria da sola cui si aggiungono tutti gli altri strumenti. Le carte sono subito in tavola. Riffing monolitico, mid tempo cadenzato, voce urlata e cattiva. Nell’andamento del brano, pur se diretto, non mancano cambi e scambi di strumento portante. La corsa sfrenata prosegue con Wrath. Le coordinate non cambiano. È presente qualche cambi in più, ma la linea è tracciata. Molto ben riuscito il cambio di passo verso i ¾.

La corsa si fa cadenzata per poi riprendere a tutta velocità verso il finale in un crescendo di rapidità. Deliver us from good ci porta un passo avanti un questa discesa in inferi metallici. Il gioco si fa ancora più duro. Si passa da mid tempo a tempi veloci. Tregue ce ne sono grazie all’intermezzi lenti che danno respiro. È giusto una boccata di ossigeno. La locomotiva non si arresta. Ad ogni ripartenza pare prendere sempre più velocità anche se è il mid tempo a chiudere il brano. Born in violence cambia direzione.

Si rivolge un po’ più sul versante Prong. Ottimo il basso. Secco, martellante. Il riffing di chitarra è un macigno. Lento, ma inesorabile. A metà cambio inatteso. Si rallenta al limite del doom. Questo dà la possibilità alla batteria di potersi esibire in ritmi non usuali. Il ritmo lentamente torna sostenuto. Questo fino ai ¾. Nuovo cambio di scenario. La sirena delle incursioni aeree squarcia la canzone.

Il tempo si fa molto cadenzato. Rumori di armi e battaglia portano al finale. Con Veil of misery ancora non si vede la luce nell’oscurità infernale. Al contrario. I suoni si appesantiscono ulteriormente. Il basso si fa sentire sul riff interrotto della chitarra. Fino al primo cambio. Improvvisamente il brano esplode in tutta la sua violenza e velocità. Si alternano ritmi cadenzati a sfuriate in plettrata alternata. Molto ben azzeccata la ‘melodia’ del riffing. Così come si era iniziato a correre senza preavviso, allo stesso modo, si rallenta.

Lento veloce si alterneranno per tutta la durata della canzone. Tuttavia, i nostri, continuano a sorprendere. Nel bel mezzo di uno de su citati passaggi, cambiano completamente atmosfere. Arpeggi lenti, basso su linee melodiche, batteria dritta, senza fronzoli. Voce narrante non più urlata. Entra quindi uno dei pochi solo dell’intero disco. Lento, lancinante, sentito. Il ritmo generale è ancora piuttosto lento. La voce si inasprisce. Lentamente tutto si risolleva fino ad arrivare alle ultime note.

Discorso a parte meritano Intro e Nero. Si discosta, la prima, totalmente dal resto del lavoro. Arpeggi di citarra, voce narrante, cantato in italiano. Sembra un’altra band. Pezzo lodevole, malinconico, scuro. Nero è perfettamente descritta dal titolo. Comincia subito con un riffing pesantemente doom. Si alzano i toni. Il cantato resta in italiano. La chitarra incalza. Un muro di suono. Gli altri strumenti accentuano questo sato di cose. Impennata dopo la seconda strofa per poi cambiare di nuovo e rallentare. La struttura circolare riporta all’inizio dopo l’intro. Il finale del lavoro è affidato a Revengment. Una canzone lanciatissima. Veloce, devastante, monolitica. Anche qui non mancano cambi di passo e tempo.

Concludendo. Un disco mediamente buono quello degli Amraam. Un disco di onesto e schiacciante thrash metal. Non un ascolto adatto a tutti. Non si devono a vere nelle orecchie solo certe sonorità. Si devono avere in mente precisi riff, suoni, emozioni. Un nome quello degli Amraam che non stonerebbe accanto a Municipal Waste.

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