C’era una volta un genere chiamato acid jazz. Correvano gli anni ’90 e band come Freak Power, Jazzmatazz, Us3 emersero quasi dal nulla. Atmosfere diverse, calde, urbane, ritmate. ‘Colte’ ma non autocelebrative. Correva, quel tempo. Oggi non lo fa più ma di quando in quando si intravede un barlume di reminiscenza. I Just for now possono essere benissimo considerati quel faro nella notte dell’oblio. Nessun limite stilistico. L’utilizzo della musica per esprimersi, per dire nel modo migliore e più consono quello che si desidera. Tutto con alla base una preparazione invidiabile.
Jazz, funky, hiphop, soul, rock, tutto nello stesso disco. Anzi, nella stessa canzone. Limiti assenti anche per quanto riguarda la lingua da utilizzare. Si passa dall’italiano all’inglese senza senso di continuità. Così si passa da Miriam, in italiano che alterna melodia a stralci rappati, passaggi reggeaggianti, intermezzi aperti super jazzati. I nostri hanno la capacità di rendere fruibile una base strumentale decisamente impegnativa. A metà canzone, ad esempio, interviene un break in su cui si poggia la diplofonia. Si cambiano ritmi e atmosfere con la successiva Gringo groove ipnotico stop. Si arriva a New York degli anni ’90.
Basso dominante, funky, batteria minimale, rap, interventi di tromba su ritmi spezzati. Effetti speciali. Ottimo l’inserimento del coro femminile che fa capolino qua e là alternato ad un controcanto, sempre femminile. In pieno stile il passaggio centrale che prelude ad un rallentamento complessivo. Chitarra ad accordi, doppia voce. Si riparte con il ritornello doppiato dalle due voci. La base fa di tutto. Stop and go, scambi di tema. Ancora basso dominante sulla successiva I hate this 404. torna il cantato in italiano.
Con l’ingresso della voce gli strumenti si zittiscono per lasciare spazio all’accompagnamento della sola chitarra. La terza strofa vede la partecipazione dell’intero gruppo con l’aggiunta di un clarinetto. Brevi interventi che fanno da contrappunto al ritmo. Arrivano poi tempi dispari a movimentare l’andamento già complesso. Molto ben utilizzata la voce che canta nel vero senso della parola armonizzando la melodia.
Il solo è affidato al fiato che porta fino al finale. La successiva chiller tiene fede al titolo. Note melliflue, morbide, avvolgenti. Sulla batteria tocco più che delicato. Gli strumenti si intrecciano a creare un tappeto ritmico davvero interessante. In diversi punti la sensazione è che ognuno vada per la propria strada ma tutti assieme danno vita alla canzone. Degno di nota il break a ¾. Si cambia, si rallenta. La chitarra guida fino al finale. Arriva la reprise di Gringo groove. In questo secondo episodio arrivano riverberi e percussioni sul giro iterante di basso. La voce resta rappata.
La chitarra interviene di quando in quando fino a prendere il controllo circa a metà canzone. Monto in cui anche la voce fa un salto di intensità al culmine del quale il brano rallenta quasi a spegnersi per poi rientrare sul ritornello. La composizione chiude sotto il ritmo della sei corde. Il disco chiude con una nuova nuova riproposizione.
Questa volta di I hate this 404. il brano di fa minimale. Inizialmente la batteria è completamente assente. Nella prima metà del brano non è sostituita dal nulla. Dopo metà arrivano le percussioni. Invariato l’utilizzo della voce, molto jazzato. Chitarra e basso si limitano a reiterare gli accordi. Il cantato resta in italiano. Sul finale a solo ad omaggiare un primissimo Pino Daniele.
Concludendo. Complimenti ai Just for now. Un disco interessante, stimolante, sognante per molti versi. Suonato molto molto bene, arrangiato nello stesso modo. Non ci sono eccessi eppure la preparazione dei musicisti emerge ad ogni passaggio. Un’ottima resa delle atmosfere. Un lavoro che può accompagnare diversi momenti della giornata donando stimoli differenti. Per gli amanti di sonorità pulite, composizioni ben equilibrate, ritmo che sale da dentro.