body hunter

Ridatemi il mio corpo

Capitolo 21

Ryoko osserva l’arto umano portogli dal poliziotto. “Perché?” è la domanda che lo attanaglia dall’inizio di quel caso. “Siamo alla resa dei conti finalmente. Non c’è tempo da perdere. Ormai è fregato. Come il suo amico attentatore”. Scaccia i pensieri. La pioggia lo riporta al momento. Si dirige immediatamente verso una camionetta richiamando a sé i suoi sottoposti. Nel tragitto lascia il braccio ad un membro della scientifica che gli sta andando incontro. “Come al solito” dice senza fermarsi e porgendogli l’arto. “Gruppi di dieci uomini per mezzo – ordina ai comandanti continuando a camminare – tre mezzi con me. Gli altri restino a sorvegliare la zona e facciano attenzione al perimetro del palazzo”. Le parole non sono ancora arrivate a destinazione che chiude il portello dell’automezzo e intima all’autista di muoversi. “La tenaglia si stringe – pensa – Non hanno molto scampo, a meno che non li abbiano già uccisi. Ma mi avrebbero avvisato”. La camionetta parte a sirene spiegate. Gli agenti fuori fanno aprire la folla di curiosi. Appena sulla strada libera, “verso la vecchia centrale elettrica – ringhia all’autista – il più in fretta che puoi”. Mentre il mezzo si tuffa a tutta velocità verso la superstrada sopraelevata, il comandante afferra la radio. Non ha ancora finito di coordinare l’azione. “Jhons – esclama – stammi bene a sentire. Convergete sull’edificio. Non dategli tregua. Ma non li uccidete. Voglio il bastardo vivo. Ripeto, vivo. Aspettate me prima di entrare in azione. Non hanno speranze”. “Signor si” gracchia l’apparecchio. I lampioni illuminano la corsa dei blindati. Rade macchine. La velocità aumenta progressivamente. Scorrono le uscite secondarie. Braccia rivolte su altri mondi. Parti della stessa città con proprie regole ed equilibri. Ryoko osserva la strada. “La prossima” dice spontaneamente al conducente già intento a spostarsi sulla corsia giusta. Imboccano il ponte. La carreggiata si stringe. Fuori solo il rumore della sirena. Gli alberi si intensificano attorno alla lingua di asfalto. Strada statale. La corsa può diventare più difficile ma non per questo l’autista rallenta. La deviazione per la centrale non è molto distante. “Ci siamo” pensa il comandante. Il mezzo devia. Strada sterrata. Nel cielo si vedono le luci degli elicotteri in cerca dei fuggiaschi. Avvoltoi sulla preda. Nella boscaglia saltuari fasci luminosi. Le torce degli agenti. Passano un posto di blocco poco distante. Il tragitto si fa impervio. “Ancora poche curve” si dice Ryoko. “Coraggio, ancora poche curve e ci siamo”. In lontananza si intravedono le mura del vecchio edificio. Stridore delle ruote sul terriccio della carreggiata. L’automezzo sbanda leggermente e si ferma. Ryoko si trova con la faccia appiccicata al parabrezza. “Ma che diavolo…” dice staccandosi dal vetro. “Un albero signore” dice il conducente. “Un albero ostruisce il passaggio”. Il comandante non si è accorto dell’ostacolo immerso nell’idea di arrivare a guardando fuori dal finestrino. “Questa non ci voleva” commenta aprendo lo sportello. “Non siamo distanti ma a piedi ci vorrebbe troppo tempo” pensa. Si dirige verso il tronco di traverso sulla strada. Alle sue spalle i capitani delle altre camionette. “Fate scendere gli uomini del primo mezzo – ordina Ryoko prendendo la radio dalla tasca – e spostate questo coso”. Pochi secondi dopo una decina di agenti sono intenti a sollevare il legno. “La pioggia ha causato uno smottamento. Certo che avrebbero anche potuto piantarli meglio” pensa premendo il pulsante della conversazione sul walky tolky. “Jhons – urla – siamo stati bloccati da un albero. Siete in posizione?”. Un istante. “Signori si – risponde l’apparecchio – siamo nel perimetro a pochi metri dall’edificio. Non siamo ancora entrati”. “Bene – prosegue il comandante – non muovetevi fino al mio arrivo. Certamente sono già dentro. Il rastrellamento non ha dato nessun risultato. Tenetevi pronti”. Termina così la conversazione. Ryoko osserva gli agenti spostare il tronco e liberare il passaggio. “Rientrate sul mezzo e muoviamoci” sbraita dirigendosi sul furgone. “Abbiamo già perso troppo tempo”. Lo sportello si chiude. Il blindato riparte lasciando profondi solchi nel terriccio seguito dal resto del convoglio. “Vola – intima all’autista – vola, vediamo di arrivare”.

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