L’evolvere, il cambiamento, che lo si voglia o no, fa parte della natura umana. Questo vale ancora più per la musica. Nessuno resta identico a se stesso, per fortuna. Di questo hanno fatto tesoro i Walk in darkness. Dal loro primo lavoro più marcatamente goth, sono riusciti a trovare una propria strada espressiva. Il risultato è il loro ultimo Leaves Rolling in Time. Un disco davvero ottimo. Interessante, non scontato, potente e melodico. Un lavoro che raccoglie in sè diversissime influenze.
Dal già citato goth, con sfaccettature doom, all’hard rock, passando per fraseggi più prog senza sconfinare. Un disco molto ben suonato e prodotto. A fare da padrona assoluta del concept, perché di questo si tratta, è la voce ammaliatrice di Nicoletta Rosellini. La nostra si destreggia in ambienti distanti senza fare una piega, senza mai perdere la padronanza del cantato o la direzione. Sempre presente alla base, perfettamente circostanziata. Voce pulita, ora morbida e avvolgente, ora dura e urlata, si alterna a momenti più rabbiosi.
Un cantato che in ogni caso rimane evocativo, che cattura senza possibilità di fuga. La band, dal canto suo, si adatta in ottimamente all’andamento vocale. Intensi e repentini chiaro scuro si susseguono accompagnando l’ascoltatore in un mondo distopico dove l’uomo, sempre meno autonomo e sempre più uniformato, conduce una vita stanca e senza luce. Uno spiraglio di speranza è rappresentato dalla band medesima. Seppur il tema della narrazione sia decisamente impegnativo, I brano no.
Non che sia un ascolto facile seppur diretto. I brani hanno una struttura variegata, divisa tra potenza e melodia. Ecco, la potenza è un’altra caratteristica che domina. Pur mantenendo un forte afflato melodico, il disco ha una potenza non indifferente. Cosa che certo non mancherà di farsi sentire in frangenti live. Assenti barocchismi o virtuosismi di vario genere. La band ha pensato all’essenziale, all’essere il più diretto possibile.
Caratterizzanti gli inserti di synth ed elettronica che fanno capolino qua e la. Aiutano ad entrare nel contesto ipertecnologico di cui narrano I testi. Anche in questo caso, non c’è nulla di scontato. Synth si, ma sempre dosati con cura, senza perdere di vista l’impatto generale. Molto azzeccato l’utilizzo dei cori, sia in duetto alla voce growl sia come accompagnamento o contrappunto al cantato. Così come gli arpeggi in pulito che improvvisamente si aprono su tappeti scuri e oscuri.
La base ritmica è impenetrabile quando è dominante. Basso e batteria, coadiuvati dalla tastiera e dai cori, riescono a creare un vero e proprio muro che impatta con chi ascolta. Una sensazione che aiuta calarsi meglio nelle atmosfere narrate. Una brano che possa essere più indicativo degli altri deve essere scelto personalmente. Per quanto mi riguarda segnalerei The last glow of day.
Andamento lento, inserti elettronici con un lieve sapore vintage che non stona. Un bel crescendo di intensità sia strumentale sia vocale. Ben riuscito il break centrale. Qui le due voc, maschile e femminile, in pulito entrambe, sorrette dai cori, accompagnano da un atmosfera rarefatta fino al pensante e concreto finale. La melodia di strofe e ritornello è particolarmente azzeccata.
Concludendo. CI sono band che riescono a concentrare, apparentemente senza sforzo, quello che è stata l’evoluzione del genere di appartenenza. Questo vuol dire che lo portano un po’ più in là. Non si tratta di stravolgimenti repentini, ma di piccoli passi che condurranno su nuovi terreni. Questo hanno fatto I Walk in darkness, riconoscibili pur su un terreno ben chiaro,