body hunter

Ridatemi il mio corpo

Capitolo 12

Un corpo disteso con le mani sulla testa e la faccia per terra.

Non è un guerriero.

Cautamente esce dal suo nuovo nascondiglio alle spalle del suo avversario.

Nulla si muove.

Si avvicina lentamente tenendolo sempre sotto tiro.

Stivali pesanti, un cappotto inzuppato e un cappuccio che ricopre la testa sono le prime cose che intravede.

La pioggia ricopre le paure.

“Fai una mossa e sei morto” gli intima passandogli accanto pronto a sparare.

Il giubbotto lacero ne nasconde la fisionomia.

“Non sparare…” sussurra una voce tra una goccia e l’altra.

“Sono disarmata…”

“Alzati lentamente” intima senza abbassare la guardia.

“molto lentamente…” Piano piano le braccia della donna si distendono offrendo al corpo il supporto e la spinta necessarie per alzarsi.

Il cappuccio di felpa sotto il giubbotto militare è appesantito dalla pioggia e schiacciato sul viso. L’oscurità fa il resto.

“Non sono armata, nè pericolosa” dice la voce senza volto alla canna della pistola che non le si scolla di dosso.

“Questo lo vedremo” ribattono le lamiere.

In lontananza ancora esplosioni e luci di elicotteri del soccorso e della milizia. Hanno la voce del latrare di cani e droidi segugio lanciati all’inseguimento.

“Non fare un solo movimento” dice cercando di capire la direzione da prendere.

“Una cosa è certa – ringhia tra i denti – da qui me ne devo andare”.

“Se ti posso dare un consiglio – risponde lei senza alzare la testa verso la voce che l’ha condannata senza appello – non continuerei ad inoltrarmi nel bosco. Ci sono posti di blocco ovunque. I robot hanno installato rilevatori di endorfina lungo tutto il tratto che porta alla città. Mi pare di capire che tu non sia esattamente uno pulito”.

L’effetto delle droghe si sta perdendo nel sudore. Il dolore inizia a farsi sentire.

Una raffica di Uzi fa eco alla risposta. Istintivamente Inamod si getta a terra. La pistola, rispondendo ad un antico richiamo di guerra, inizia a sparare verso l’origine della raffica, o quello che sembra esserlo. Voci concitate seguono la scaramuccia e altri proiettili si confondono al buio e alla pioggia.

Un istante per rialzarsi, solo uno e i due, correndo con la testa bassa, si perdono tra i rifiuti. Alle loro spalle ordini ringhiosi e passi pesanti.

Pochi metri e sono persi nell’oscurità del bosco. Ancora non si fermano. Distanziati dalla differenza di forza fisica, Inamod corre quasi senza voltarsi. Davanti a lui la ragazza senza nome dirige il percorso.

“Seguimi – gli dice muovendosi senza indugi tra i rami e i rottami – e stai zitto. Se non ti fidi sparami pure o prendi un’altra direzione”.

Le parole si sperdono tra il rumore delle gocce che cadono e i rami che si spezzano. Il giovane si è infilato in un sentiero laterale senza far rumore.

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