Terzo appuntamento con i movimenti giovanili è con uno tra i più controversi e travisati, il movimento Skinhead.
Prefazione d’obbligo:

Per quanto riguarda gli aspetti culturali che seguono, non essendo chi scrive uno skin e conoscendone solo di una precisa fazione, non sa quali possano essere stati film, libri e personaggi presi come rappresentativi dal movimento stesso e dalle diverse anime che lo compongono. Non sa cosa uno skin può cercare in una pellicola o tra le pagine di un libro o chi sia stato un referente ideologico e non.

Al di là di quelle che possono essere indicazioni generiche in tal senso o punti di vista per un approfondimento, non si ha nessuna intenzione esaustiva né di spiegazione dello spirito skin. Si prenda, quindi, quanto segue, solo come indicazione di massima per approfondire un tema tanto complesso quanto delicato, qual è quello della cultura skinheads.

Skinheads, le origini

È sufficiente la parola per far emergere immediatamente nell’immaginario collettivo l’idea di ragazzi con teste rasate, anfibi, jeans, maglietta, bretelle, bomber e… braccio destro alzato nel saluto nazista. Ma non è e non è sempre stato così. Anzi. Il movimento skin è nato sotto ben altre stelle.

Correva la fine degli anni ’60. Forte era la coscienza della working class inglese. Buona parte dei fenomeni giovanili provenivano da questa. Era la sola unica appartenenza. Non esisteva distanza razziale.

Questo è un passaggio fondamentale per poter comprendere il fenomeno. Gli skins sono solo gli ultimi rappresentanti, in ordine cronologico, della gioventù proletaria britannica.

Sono stati oggetto di critiche e disprezzo da parte dei “benpensanti” disprezzo che veniva e, viene, spesso ampiamente ricambiato. Gli skinhead si riconoscono totalmente nella classe sfruttata, quella lavoratrice, quella che fatica ad arrivare a fine mese, quella dei contratti a termine, quella degli sfruttati.

Solitamente svolgono lavori manuali e detestano tutto ciò che opprime l’individuo e lo vuole trasformare in quello che non è.

La stessa immagine stereotipata di teste rasate, anfibi e bomber deriva principalmente da esigenze lavorative. Condizioni igieniche e di sicurezza scarse rendono necessarie precauzioni contro infortuni e infezioni.

Buona parte dell’abbigliamento però comprende anche elementi tramandati dai mods, da cui deriva lo skinhead. Non si tratta, quindi, di una divisa da combattimento (almeno inizialmente), come molti hanno teorizzato, bensì di uno stile strettamente legato alle proprie origini, riprendendo elementi derivanti dalle culture mod e rude boy.

Allo stesso modo anche i pestaggi, inizialmente, non erano provocati da un razzismo ideologico. Era l’intolleranza, che poteva rivelarsi anche molto radicata nella vita di strada degli skinheads confinati in aree urbane di periferie dove vige la legge della strada.

Se la subcultura skinhead in origine fosse stata fondata su principi di potere razziale, la cultura stessa non si sarebbe potuta sviluppare per principio, poiché questa nacque proprio ereditando parte della cultura degli immigrati giamaicani di natura multietnica.

Di fatti i primi gruppi skin, o trojan, risultavano da un connubio tra la subcultura Mod inglese e quella dei rude boy jamaicani. Detta così sembra un’operazione da laboratorio. In realtà fu una cosa piuttosto naturale.

I Mods ascoltavano già la musica ‘nera’. I rude boy la componevano. Il resto è venuto da sé. Da qui è nato il terzo polo, gli skin che a loro volta, prima dell’oi!, ascoltavano ska. Allora gli skin, ancora non esteticamente riconoscibili, non avevano nessuna propensione politica. Tutt’altro.

Erano decisamente a politici. Erano solo ragazzi della classe lavoratrice inglese. Strada facendo gli Skinhead fecero propri alcuni elementi del vestiario dei Mod, oltre alla musica: i capelli corti, ad esempio, che erano un’affermazione coraggiosa alla fine degli anni ’60 quando la maggior parte dei giovani si faceva crescere i capelli lunghi.

Sempre negli anni sessanta, dopo esser stato soprannominato in diversi modi come “nohead”, “baldhead”, “crophead”, “egghead”, “peanut”, il movimento venne riconosciuto ufficialmente e definitivamente come skinhead, più precisamente nel 1969.

Questa data ispirò un motto tutt’oggi usato tra gli skinhead original, ovvero

“Spirit of ’69”.

Indossavano camicie a quadretti di cotone e stivali da lavoro tipici dei minatori di carbone, dotati di puntali in acciaio, o stivali con borchie.

Ancora dai mod, il neonato movimento, prese anche il sentito senso di appartenenza, il patriottismo, l’amore per la birra, per il calcio e per le risse. Fu quest’ultimo aspetto che portò gli skin ad iniziare ad essere additati come giovani violenti.

Violenti ma non di destra o di sinistra. Non poco fecero anche le interazioni con i gruppi di hooligan presenti negli stadi e con i quali qualcuno cominciò a fraternizzare.

Di conseguenza, durante la prima metà degli anni settanta, la subcultura skinhead conobbe un graduale declino dovuto a duri interventi repressivi, quali il divieto d’ingresso negli stadi, nei bar e discoteche. Si stava concludendo il suo primo ciclo vitale.

Come tradizione vuole, non fu una morte, ma un ritorno alla nicchia, alle cantine a i pochi adepti. Questo fino all’avvento del punk. La nuova tendenza giovanile risvegliò l’orgoglio skin visto che ne condivideva la rabbia, la rivolta e il conflitto.

Tuttavia, come spesso accade, la rinascita portò alla luce qualcosa di simile ma non uguale. È infatti questo l’inizio o, se si vuole, la definizione, delle scissioni interne e degli schieramenti politici.

Il triennio 1973-1975, fu segnato da una profonda crisi economica ed energetica in Gran Bretagna, a cui seguì un forte innalzamento dei prezzi e della disoccupazione. Alcuni skinhead si avvicinarono a movimenti di estrema destra xenofobi come National Front e British Movement.

Da questi stessi skinhead razzisti sarebbero poi nati i naziskin, o per meglio dire i bonehead (termine dal triplice valore in quanto si radono la testa fino ad avere la pelle lucida, non vengono considerati skinhead dagli altri skin e significa “cretino”). E qui ha inizio il fenomeno che è arrivato fino ai giorni nostri.

Una cosa va sottolineata. Anche questa volta non è la parte ‘sana’ ad essere portata alla ribalta, ma la parte marcia seppur formata da una minoranza di individui. Non è una constatazione difficile da dimostrare. È sufficiente osservare le divisioni del movimento e i loro orientamenti politici.

Scissioni e orientamenti politici

Di seguito vengono elencate le principali correnti del movimento.

Original: gli skinhead apolitici o, per meglio dire, non identificati politicamente. Sono gli skinhead tradizionali, quelli che si rifanno allo Spirit of ’69 e alla vera subcultura skinhead, formata da ragazzi sottoproletari, poveri e ribelli, accomunati da mod e rude boy per la passione verso la musica afroamericana e l’abbigliamento anticonformista da lavoro/dancehall, oppressi dal degrado di una società ipocrita e borghese che li discriminava continuamente per il proprio ceto sociale.

È possibile che alcuni di questi, tuttavia, contrastino le fazioni quali la R.A.S.H. (organizzazione di chiare idee comuniste ed anarco-comuniste), la S.H.A.R.P. (militanza antirazzista) o gli altri network. Questo modello quindi ripropone la visione del movimento, nella sua più totale varietà, com’era in origine negli anni sessanta.

Alcuni skinhead apolitici accusano gli skinhead politicizzati di strumentalizzare per fini politici il loro stile. Gli skinhead original tendenzialmente non considerano gli altri skinhead dei “veri” skinhead perché troppo lontani dai valori sociali e dagli ideali che caratterizzavano il movimento nella sua era d’oro, cioè gli anni sessanta.

SHARP (acronimo di “SkinHead Against Racial Prejudice”): ovvero, gli skinhead contro i pregiudizi razziali, di diverse idee politiche ma espressamente antirazzisti, uniti sotto un’unica bandiera, si rifanno alla rete denominata appunto SHARP.

Questi nascono come militanti contro i gruppi neonazisti e riportano come simbolo l’elmo troiano, riprendendo il simbolo degli skinhead original che nascono dall’unione di subculture di natura multietnica.

RASH (acronimo di “Red and Anarchist Skin Heads”): skinhead di chiare idee socialiste, comuniste, anarchiche o anarco-comuniste che si rifanno al più recente network RASH. Gli skinhead di idee comuniste e socialiste si definiscono “Redskin” mentre quelli di idee anarco-comuniste, o più in generale anarchiche, “Anarcoskin”.

I redskin possono anche non appartenere ad alcuna rigida organizzazione politica od ostentare simboli, ma manifestare comunque la loro attitudine verso idee antifasciste; la maggior parte degli anarcoskin, invece, preferisce restare in ambienti ed organizzazioni esclusivamente o prettamente di matrice anarchica, come la Federación Anarco Skinhead o l’Anarchist Skins and Punks (quest’ultima tra l’altro riunisce anche i punk).

Skin88 (l’88 sta per HH, acronimo di “Heil Hitler”, in quanto l’H è l’ottava lettera dell’alfabeto latino): skinhead di idee neonaziste o neofasciste, anche noti come Naziskin (termine però ritenuto inadeguato), raggruppati in numerose organizzazioni, anche internazionali, come Hammerskins (USA) e Blood & Honour (UK).

Sono generalmente i più organizzati e politicizzati, in quanto giocano un ruolo determinante per quello che riguarda l’interesse dei mass-media nei confronti della subcultura skin. Il movimento degli Skin88 è correlato alla diffusione della musica Oi! e del Rock Against Communism.

Siccome non sono considerati parte del movimento skinhead dagli altri skins né tantomeno dai punk in quanto razzisti e fascisti, gli skin88 vengono dispregiativamente chiamati Bonehead termine tradotto dall’inglese in “testa d’osso”, utilizzato in maniera dispregiativa nei confronti degli Skin88 dai loro detrattori[9].

Gay skinhead; le due organizzazioni più importanti conosciute sono la EGSA raggruppante gli skin gay apolitici, antirazzisti e antifascisti e la GASH (Gay Aryan Skinheads), raggruppante gli skinhead gay ma di ispirazione neonazista e tendenzialmente violenti.

Ambito musicale

Oltre allo ska delle origini, il movimento skin è caratterizzato da un genere proprio e ben preciso. Si tratta dell’Oi! Anche se le band che hanno creato il sound skin sono diverse e molteplici.

Il primo gruppo, in assoluto, è stato quello degli Sham 69 con il brano ‘If the Kids Are United’, ancora: The Business, The 4-Skins, e The Last Resort hanno contribuito allo sviluppo della cultura skin. Nati nel 1979 nell’area East End di Londra, i Cockney Rejects sono uno dei più celebri gruppi street punk.

A loro si deve l’invenzione del nome che identifica tale sottogenere, l’Oi!, nato in sede live come verso per incitare il pubblico. Le sue caratteristiche sono una musica cruda e ripetitiva contornata da cori simili a quelli da stadio e tematiche quali le risse, la birra, il tifo calcistico (sconfinando spesso nell’hooliganismo) e la lotta politica. Genere che è sempre stato associato, ingiustamente, all’estrema destra.

La band ha visto come principali esponenti i fratelli Geggus, Jeff “Stinky Turner” alla voce e Mick alla chitarra. La formazione più celebre, attiva dal 1980 al 1983, vedeva Keith “Stix” Warrington alla batteria e Vince Riordan al basso.

Negli anni in cui la scena punk del ’77 era scomparsa e l’hardcore iniziava lentamente a muovere i primi passi, i Cockney Rejects sono spesso stati visti dalla critica come una band approdata al successo in un periodo fiacco per la musica punk rock, più che per reali meriti musicali.

Dopo aver inciso nel 1979 il singolo “Flares & Slippers”, i Cockney Rejects finiscono sotto l’ala protettrice del giornalista di Sounds Garry Bushell (grande promotore della scena Oi!) che ne diventa il manager e del cantante degli Sham 69 Jimmy Pursey che procura al gruppo un contratto con la EMI.

Pubblicano diversi altri singoli, tutti quanti di buon successo. Tra questi menzione speciale spetta al brano “The Greatest Cockney Rip-Off” (1980), parodia di “Hersham Boys” dei già citati Sham 69. Arriverà al numero 21 della UK Singles Chart.

Sempre nel 1980 rilasciano i loro tre primi LP, i “Greatest Hits” volume 1 e 2. A dispetto del titolo, essi non sono una raccolta di successi ma veri e propri album d’inediti che riscuotono un ottimo seguito tra i punk e gli skinhead. Seguirà l’anno seguente il volume 3, un album dal vivo registrato in studio e che vede l’esordio nelle file della band di Warrington.

I Libri:

Lo skinhead scozzese George Marshall nel 1991 pubblicò il libro “Spirit of ’69: A Skinhead Bible”, da sempre considerato un testo basilare e attendibile sulla cultura skinhead.

Grazie alla traduzione di Flavio Frezza e alla stampa di HellNation arriva finalmente la versione in italiano.

Essenziale per capire fino in fondo i particolari talvolta nascosti di una cultura molto spesso valutata solo in base alle consuete superficialità e contraddizioni.

«Esistono tre generi di bugie: le bugie, le dannate bugie e le bugie sugli skinhead» (George Marshall).

Marshall non si tira indietro di fronte alla deriva fascista e affronta tematiche (come ad esempio la violenza spesso presente a concerti e raduni) senza remore e peli sulla lingua.

Si approfondisce a dovere la scena musicale e nonostante alcune imprecisioni (che rendono il racconto ancora più attendibile, essendo frutto della vita reale vissuta da Marshall e non notizie da Wikipedia), “Spirit 69” risulta essere un testo fondamentale per chi vuole conoscere al meglio gli aspetti salienti di una cultura inziata a metà degli anni 60 e tutt’ora viva e vegeta.

Il curatore dell’edizione italiana, Flavio Frezza ci spiega alcuni ulteriori particolari.

Film:

Anche in questo caso non è facile segnalare dei film che gli skin possono prendere a vessillo della propria cultura. Il grande rischio è banalizzare a cadere nei luoghi comuni. Certo America history X può presentare uno spaccato della cultura skin, ma non è la cultura skin. Ide per Romper Stomper e pellicole simili.

Troppo banale e banalizzante indicarli come film skin. Sono film sugli skin heads ma non film degli skinheads. Ritengo inutile addentrarsi in un territorio che non si conosce in maniera adeguata rischiando di dare false indicazioni che più che cercare di far conoscere una cultura la presentano in malo modo. Forse il solo film che potrebbe essere indicato è This is England, ma non ne sarei neppure così sicuro.

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