simone piva

Recensione a cura di Carmine Rubicco

Il disco di Simone Piva e i viola velluto può essere suddiviso in tre parti. O forse sarebbe meglio dire lo si può vedere sotto tre diversi gradi di lettura. Il primo riguarda il disco, Fabbriche polvere e un campanile nel mezzo, il titolo, nel suo insieme. Il secondo, la parte strumentale, il terzo grado si riferisce a testi e voce.

Iniziamo dal primo, il disco nel suo insieme. È un cd ‘caldo’ quello di Piva. Dagli arrangiamenti ai suoni, dai ‘rumori di sottofondo agli speech che ogni tanto fanno capolino. Si, un disco caldo e polveroso. Nulla di particolarmente impegnativo, un disco che scivola via bene.

Ma approfondiamo l’analisi. Un plauso e una menzione va certo alla parte strumentale. Molto belli gli arrangiamenti che per quanto ‘semplici’ non sono troppo banali. Quando l’ascoltatore sembra già sapere cosa accadrà nella battuta successiva, c’è sempre qualcosa che sorprende. Dai fiati, che giocano un ruolo decisamente importante in tutto il cd, per arrivare allo shekere. Idem la sezione ritmica che tiene su molti degli 8 brani complessivi. Il momento più apprezzabile e libero per gli strumenti è sicuramente Il destino di un uomo, ultimo brano del disco. Qui si passa, quasi senza accorgersi, da un tappeto ‘messicaneggiante’ al jazz. Un ottimo spunto. I suoni sono tutti ben curati e il missaggio è ottimo.

Arriviamo così all’ultimo step, testi e voce. E qui, forse, arrivano le dolenti note. Non tanto per la voce che fa un egregio lavoro cantautorale senza cercare di andare oltre le proprie possibilità o scimmiottando ora questo ora quel cantante famoso, anche se di quando in quando qualche forte richiamo si sente (Cremonini fa più che capolino nel brano Questa estate) quanto per i testi.

Scrivere in italiano, tutto il disco è in lingua madre, non è semplice per mille motivi. Uno di questi è senza dubbio il contenuto di quello che si racconta e che si vuole trasmettere.

Non è facile arrivare a dire cose semplici nel modo migliore rispetto al metodo espressivo scelto (che poi ognuno possa avere il proprio di modo è un altro discorso). Purtroppo per il cantautore ci sono decine di ottimi autori di testi e band che ne hanno usufruito.

I testi di Piva mancano di profondità e coinvolgimento vero. Pur essendo questo il 4 disco, escluso l’ep Polaroid, il nostro non sembra aver trovato un equilibrio. Abbandonati gli ‘estremismi’ rock, che molto aiutavano in verità i testi, Piva si è concentrato più sulle liriche senza però riuscire ad approfondirle il necessario per farle risaltare. Un paio di titoli su tutti: Oggi si uccide domani si muore, oppure, Sergio Leone. Un vero peccato. Probabilmente con un po’ più pazienza i nostri avrebbero avuto tra le mani un prodotto decisamente migliore che tra reminiscenze beatlesiane e strizzatine d’occhio southern avrebbe stupito.

In conclusione un disco che anche se manca nella discoteca degli appassionati non crea un vuoto incolmabile. Potrebbe essere il disco un’estate a cui ognuno lega i propri ricordi meno impegnativi e che anche se vanno persi, pazienza.

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