Testo a cura di Carmine Rubicco

Quando una notizia sconvolge o colpisce in maniera troppo personale non si può scrivere di getto. A parlare non sarebbero i fatti e neppure i sentimenti. Sarebbero le viscere, quel male sordo e apparentemente inestinguibile che attanaglia lo stomaco. Per tale motivo questo articolo compare solo ora e non a ridosso della morte di Chris Cornell. Su di lui è stato detto di tutto. I messaggi di dolore e rammarico sono giustamente piovuti da ogni dove. La sua dipartita è stata vera violenza: insensata, improvvisa, senza appello. Cosa resta quindi da dire? Molto, così tanto che non ci si potrà mai fermare. Tra cinquant’anni ancora si racconterà ai nipoti di quella volta in cui è morto uno dei più grandi e influenti musicisti della storia del rock. I Soundgarden non sono mai stati come i Nirvana. Il loro nome è sempre arrivato dopo, così come i Pearl Jam e qualsiasi altra band di Seattle. È arrivato dopo ma è riuscito a scavare più a fondo. Inutile ribadire che la loro musica ha segnato un epoca, ha ampliato scenari fino ad allora solo sperimentali, ha dato forma di incubo a ciò che per i Nirvana era solo un sordo urlo di paura. Hanno raccontato una generazione e un’epoca ma non si sono fermati. Fino a quando il contesto lo ha permesso sono andati avanti. La loro, la sua grandezza, è stata anche questa, avere sufficiente sensibilità per capire che i tempi erano cambiati e che ci si doveva esprimere in modo diverso. E lo ha fatto, lo ha saputo fare in maniera egregia. Magari non con la stessa incisività della band originale ma di certo con la stessa grinta, dignità e professionalità. Chris Cornell nel corso degli anni ha travalicato l’essere semplice artista trasformandosi in una certezza, divenendo quello che non molla mai. O quasi. Evidentemente le canzoni, la musica, la famiglia non sono stati che una piccola parte del suo animo più tormentato di quello che egli stesso ritenesse forse. I fantasmi dentro di lui si erano solo assopiti lasciandolo respirare per un po’ ma senza scomparire del tutto. Le motivazioni reali del suo gesto, al di là delle illazioni, nessuno potrà mai saperle. Nessuno era con lui o, meglio ancora, nei suoi pensieri, nella sua anima, per poter anche solo raccontare cosa sia successo. Così come in vita Cornell ha lasciato una certezza, che nessuno è stato e potrà mai essere come lui. Nessuno avrà mai la sua inventiva, le sue idee, la sua voglia di andare oltre. Queste poche righe non possono chiudere che con un semplice saluto ed un ringraziamento per tutto quello che ha saputo regalare, con il rammarico per tutto ciò che ancora avrebbe potuto fare. Utilizzare una sua canzone in chiusura sarebbe fuori luogo perché non si sa che male possa ancora provocargli l’aver scritto e cantato certe cose. Una cosa è ancora sicura, con Chris Cornell, che lo si seguisse o meno che lo si ammetta o no a se stessi, è scomparsa un’enorme fetta di giovinezza di chiunque abbia iniziato a seguire la musica dal finire degli anni ’70 in poi.

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