Recensione a cura di Carmine Rubicco

Musica per orecchie forti e ben allenate quella dei laCasta. Non ci sono altre definizioni. Noise, doom, hardcore, death metal, grind core al limite del crust. Melodie malate e furiose per un prodotto che ha come intento principale quello di lasciare il segno, un livido sulle materia grigia dell’ascoltatore. Un muro di suoni che si riversa su chi ascolta non lasciando scampo. Non c’è la follia dei Dillinger Escape Plane ma tutta la furia del primo grindcore compresa la durata fulminea dei brani (Goddes con i suoi 4.03 è il brano più lungo e maggiormente pesante con il suo andamento pachidermico). Dalla sua la produzione aiuta a rendere meno ostico (per quanto possibile) l’ep, eccezion fatta per la voce perennemente soffocata dagli strumenti. Per la perizia tecnica ci si deve necessariamente rifare agli spartiti essendo il disco eccessivamente caotico o troppo lento e monotono. Ma forse si tratta di una precisa scelta stilistica. Un disco estremo, in tutto e per tutto dedicato ad un pubblico estremo.

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