Intervista a cura di Benedetta Lattanzi
Tra i molti consigli che un musicista esperto e capace come Alessio Menconi potrebbe dare, salta all’occhio quello più “banale” ma più fruttuoso: essere semplici. È proprio questo che il noto chitarrista jazz cercherà di insegnare a chi parteciperà agli incontri che si stanno tenendo all’Accademia del Suono di Milano: insieme a lui nei quattro percorsi seminariali ci saranno Christian Meyer, Chris Coleman e Trio Bobo, per tutti i musicisti che vogliono imparare nuove tecniche di esecuzione direttamente dai grandi nomi della musica.

Dal 10 marzo partirà una serie di incontri all’Accademia del Suono di Milano. Ci può dire come si svolgeranno?

Sono 4 appuntamenti in cui in ognuno di essi lavoreremo su un argomento per volta, selezionando i più importanti come: Comping, Armonia, Improvvisazione, Interplay.

A 8 anni inizia a studiare la batteria poi cambia idea e decide di suonare la chitarra imparandola da autodidatta. Quale è stato il motivo di questa scelta?

Avevo strumenti musicali e dischi in casa per via di mio padre, e la mia predisposizione per la musica era da subito visibile. A ciò si è unita una grande passione che mi spingeva a voler capire ed imparare ciò che ascoltavo. Ho studiato un anno la batteria e poi avendo una chitarra in casa ho cominciato a prenderla in mano e cercare di riprodurre i brani dei Beatles e Deep Purple.

Pensa che sarebbe cambiato qualcosa nel modo in cui suona e nel modo in cui insegna se avesse preso lezioni di chitarra lei stesso?

Chi può dirlo…ho preso qualche lezione all’inizio ma davvero poche. Posso dire di avere fatto l’80% da autodidatta. Studiando da solo è più difficile ed è più creativo perché sei tu stesso che devi inventarti gli esercizi. L’insegnante però (se è quello giusto) può darti molti stimoli e spunti per farti capire soprattutto cosa e come studiare.

Ha collaborato con tantissimi artisti e partecipato a svariati eventi: con un’esperienza vasta come la sua c’è qualcosa di particolare che cerca di trasmettere ai suoi allievi?

Si, la semplicità, la chiarezza, la pulizia (non parlo solo di tecnica ma di pulizia musicale) e soprattutto cosa vuol dire suonare assieme…perchè suonare da soli è completamente diverso.

È stato inserito come unico italiano in una compilation dal titolo “I più grandi chitarristi jazz del mondo”. Come si sente ad essere riconosciuto come tale?

È bello…ma comunque sono solo delle classifiche e queste ultime non hanno nessun significato artistico perché nell’arte ognuno racconta una propria storia.

Oltre alle varie collaborazioni ha attivi molti progetti, solisti e non, che sono comunque circoscritti all’area jazz o pop-rock. Ha mai pensato di sperimentare con altri generi musicali?

L’ho fatto molto tra jazz, rock, brasile, pop, blues…tutt’ora ascolto di tutto e mi piace accostare il mio stile a vari generi. La differenza tra adesso e il passato è che ora mantengo sempre il mio stile ed approccio in qualsiasi musica; ed è proprio questo che mi stimola: creatività e fusione di stili affrancando le etichette stilistiche.

Che cosa pensa dei grandi jazzisti che duettano con le pop star (ad esempio nel caso di Tony Bennet con Lady Gaga)?

Penso che siano soprattutto operazioni di marketing. C’è da dire che Lady Gaga è brava e quindi l’operazione è riuscita anche musicalmente.

Molti chitarristi, non solo jazz, si sono ritrovati un po’ messi da parte e dal mercato e dalla mutata sensibilità degli ascoltatori. Dal suo punto di vista che cosa ha perso e che cosa ha guadagnato il mondo della chitarra oggi?

È tutto in continua evoluzione ma i grandi della storia, e cioè quelli che hanno inventato la chitarra jazz (Montgomery, Hall, Benson…) restano sempre attuali e punti di riferimento come possono esserlo Bach o i Beatles.

Secondo lei il jazz ha perso la capacità di sperimentare divenendo in un certo modo troppo autoreferenziale?

A volte è così. Sento musicisti bravissimi che però rischiano di perdere la loro naturalezza e la loro sincerità solo per andare dietro a qualche moda o preconcetto. Ultimamente sento musica che ha molta complessità a volte fine a se stessa. I chitarristi spesso seguono mode newyorkesi quando invece potrebbero seguire un proprio sound. Per questo negli ultimi anni cerco di basarmi su sonorità semplici senza con pochi effetti, in modo da concentrarmi sulle note e sul suono “nudo” che è quello che sei al 100%

Una domanda che non le hanno mai fatto ma che le piacerebbe sentirsi rivolgere.

“Cosa fa quando non suona?” Niente di importante.

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