Testo a cura di Alessandro Cavalli

Sabato 14 marzo Useless Eaters al Sinister Noise Rock Club. Sono americani e fanno punk. Un punk moderno, dal metronomo molesto, con influenze indie, che ricorda i pezzi più duri degli Strokes.
Fin dalle prime note un rumore strano di sottofondo cozza con il resto… apparentemente un fischio di feedback o il rientro nei microfoni.
A ben ascoltare e vedere il parterre si accorge della presenza di un tastierista.
Un gruppo punk americano con i vestiti sporchi e macchiati e i calzini di spugna arrotolati sulla caviglia in vista ha un tastierista nella line up? Pare essere la domanda in sospeso.
Per la maggior parte del concerto il ragazzo con l’arduo compito di fornire basi elettroniche per musica punk non ha suonato. La tastiera ha avuto, tra le sue altre funzioni, quella principale di campionamento delle voci direttamente sul palco. Nessuna base preimpostata ma gioco con deley, flanger e reverbero per ottenere i classici effetti cosmici ripetitivi alla Pink Floyd.
Il cantante chitarrista ha non si è risparmiato sulla povera chitarrina bianco latte, decisamente aggressivo, che anche sugli assoli quasi mononota non ha saputo controllarsi. Il bassista non è stato da meno utilizzando il plettro come un fabbro il suo martello. Il batterista aveva solo due piatti e due fusti, si sa i punkers si accontentano di poco. Molti i pezzi estratti da “Bleeding moon” il loro lavoro del 2014. Il suond che esce è tirato e ben arrangiato: la cassa, il basso e la chitarra costruiscono begli stacchi potenti all’unisono e i campionamenti di sirene e macchine rendono il tutto molto originale.
Qualche pezzo è più sperimentale e più calmo della maggior parte delle loro creazioni lasciando strada libera al sinth di sbizzarrirsi con effetti lunghissimi e quasi fastidiosi all’ascolto.
Alcuni brani sono stati brevissimi, anche di un minuto e mezzo.
La voce strozzata e arrabbiata.
I ragazzi sul palco sono stati praticamente immobili, concentrati solo a suonare forte e veloce, tutto il resto non ha contato; non uno di loro, neppure per un solo istante, ha guardato il pubblico o alzato la testa dallo strumento. È parso interessargli ben poco dell’interazione col pubblico. Insomma un vero gruppo punk.
Molto interessante l’uso dei campionamenti che contribuisce a differenziare la band dal marasma di puristi che odiano l’elettronico. Forse un elemento che riuscirà a farli emergere un po’.
L’unica cosa che ha fatto capire che il concerto è finito è il fatto che non suonano più. Chi si sarebbe aspettato che qualcuno di loro salutasse è rimasto sentitamente deluso.
Come dice Phil Anselmo prima dell’assolo su “Walk”: no way punk!

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