Testo di Emanuele Meschini

In linea generale non è semplice descrivere un concerto: rendere con parole quello che le orecchie hanno sentito può essere in un certo modo fatto, ma descrivere le sensazione e le emozioni che si vivono è senza dubbio più difficile. Farlo per il concerto di Craig Taborn, ieri 18 marzo a Novara per uno degli appuntamenti del NovaraJazz “Feeling Jazz”, è ancora più difficile. Il pianista statunitense, maestro della composizione istantanea, ha suonato per un’ora, ma per chi era in platea quei sessanta minuti sono sembrati decisamente più lunghi. Non fraintendiamoci non per noia, tutt’altro: le orecchie sempre tese ad attendere la nota successiva, pronte ad essere stupite dalla nuova sequenza che Taborn mette sul pianoforte. Linguaggi diversi, ritmi diversi, anche stili diversi che si fondono con armonia in uno straordinario esempio di jazz che probabilmente catalogare sarebbe anche ingiusto. Un suono ricco di sfumature e dinamiche, e una composizione che Taborn fa viaggiare parallelamente tra scrittura e improvvisazione. È bastata un’ora per rimanere incantati. E questo è il paradosso: un’ora non è bastata.

Foto di Emanuele Meschini

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